Arnaldo Orlandini
Gli invertebrati, ovvero le piccole cose che fanno funzionare il mondo. A loro è dedicato uno degli ultimi rapporti della Società Zoologica di Londra; pregevole per varie ragioni, non ultima quella di essere corredato da splendide fotografie.
Il rapporto, che sintetizza il lavoro di migliaia di scienziati che hanno contribuito al database della Lista Rossa IUCN delle specie minacciate, rappresenta l’indagine scientifica più esaustiva mai realizzata sullo stato di salute degli invertebrati a livello globale. Viene così colmata una evidente lacuna, visto che finora gli studi di questo tipo, così come gli sforzi conservazionisti, si erano concentrati in modo del tutto sproporzionato sui vertebrati.
Il termine invertebrati fu coniato da Lamarck per indicare tutti gli animali senza colonna vertebrale, escludendo quindi pesci, rettili, anfibi, uccelli e mammiferi. Il termine è stato a lungo usato in zoologia con valore di sottoregno (del regno animale). Sebbene attualmente non abbia più valore di classificazione scientifica, risulta ancora utile ai fini pratici e descrittivi.
A partire dalla metà del Settecento, da quando cioè Carlo Linneo gettò le basi della tassonomia moderna, nel mondo sono state descritte circa 1 e 900 mila specie e oltre il 70% di queste sono invertebrati, che sono oggi classificati in oltre 34 phyla o tipi diversi. Si va da organismi molto semplici, come le spugne e i vermi piatti, fino ad animali decisamente più complessi, come gli artropodi e i molluschi. Quanto alle dimensioni fisiche, sebbene tendiamo a pensare agli invertebrati come ad esseri “piccoli” (ed in effetti in gran maggioranza lo sono), la varietà è altrettanto ampia: si spazia dal microscopico zooplankton al calamaro gigante (che può raggiungere i 18 metri di lunghezza).
La parte del leone, per lo meno negli habitat terrestri e di acqua dolce, la fanno gli insetti, una classe che comprende un numero stimato di specie intorno ai 5 milioni, di cui circa un milione catalogate (vedi Tab. 1). Sembra che il grande biologo inglese. J. B. S. Haldane, interrogato da alcuni teologi su che cosa lo studio della natura gli avesse insegnato sulla mente del Creatore, rispose: “una smodata passione per i coleotteri” . All’epoca si stimavano circa quattrocentomila specie di coleotteri contro una sola del genere homo.
Tabella 1. Specie animali descritte e stimate.
Fonte: adattato da Spineless, London Zoological Society.
Venendo ai risultati del rapporto, la situazione appare a dir poco allarmante. La crescente domanda di risorse naturali a livello mondiale sta mettendo sotto tremenda pressione gli invertebrati. L’esame dello stato di salute di 12.621 specie (circa l’1% di quelle catalogate) dimostra che sono le specie di acqua dolce quelle maggiormente esposti al rischio di estinzione, seguite da qulle terrestri e da quelle marine. Gli invertebrati d’acqua dolce sono minacciati principalmente dall’inquinamento (nitrati, fosfati e altri contaminanti utilizzati in agricoltura) e, in secondo luogo, dalla costruzione di dighe e prese d’acqua per l’irrigazione; quelli terrestri soffrono in misura pressoché equivalente l’espansione agricola e le specie aliene invasive; mentre gli invertebrati marini sono particolarmente vulnerabili ad attività umane come pesca e turismo e agli effetti del cambiamento climatico (l’assorbimento della CO2 causa l’acidificazione dei mari).
In generale, il rischio più alto tende ad esserre associato alle specie meno mobili e più localizzate. Volendo fare una comparazione con i vertebrati, anfibi e molluschi d’acqua dolce condividono queste caratteristiche e risultano particolarmente minacciati (una specie su tre è a rischio estinzione). Di contro, la situazione degli insetti volanti è assai più simile a quella degli uccelli, con una specie su dieci minacciata.
La lettura delle 80 pagine del rapporto charisce come e perché, al di là di ogni considerazione conservazionista e di tutela della biodervisità, gli invertebrati siano essenziali per il funzionamento delle nostre stesse società. Essi rappresentano una componente basilare di quello che gli economisti ambientali (e, con qualche distinguo, gli economisti ecologici) chiamano capitale naturale: lo stock di beni ambientali (speci, habitat, ecosistemi) che sostengono il “benessere” umano. Da tale capitale derivano direttamente i servizi degli ecosistemi (una sorta di dividendi del capitale), ossia i flussi rinnovabili di materiali ed energia e i processi che permettono agli uomini di sopravvivere e alle loro economie di funzionare.
A tal riguardo, basti pensare che gli invertebrati, oltre ad occupare una posizione basilare della catena alimentare e a rappresentare una vitale fonte di cibo per varie popolazioni umane, svolgono un ruolo chiave per il filtraggio e la purificazione dell’acqua, la decomposizione dei residui organici e il riciclo delle sostanza nutrienti, l’impollinazione di piante commestibili.
Lo spazio dato a questi aspetti e alla loro valutazione economica sono senz’altro positivi, come segno di dialogo tra ecologia ed economia. Tuttavia, appare forse eccessivo l’affidamento che, in varie parti del rapporto, si fa su stime puramente monetarie di “capitale e servizi” naturali. La critica sviluppata dall’ economia ecologica ha chiaramente posto in evidenza i limiti e l’arbitrarietà di tali stime in campo ambientale, pur utili in determinati contesti.
Chiarissimo e dunque bello, complimenti.
È bene ribadirlo sempre. Il valore dei beni e servizi ambientali (determinato in mercati reali o simulati) non può derivare, come pretende l’economia ambientale convenzionale, dalle preferenze individuali dell’attuale generazione di umani, per di più prendendo come data l’attuale distribuzione del reddito e della ricchezza. Mi fa piacere che l’autore sottolinei questa arbitrarietà.
Un’autentica perla la risposta di Haldane.
Ho dato uno sguardo alle foto del report, sono effettivamente splendide. Il Creatore non si è certo risparmiato al momento di scegliere le forme degli invertebrati.
Molto interessante! Di sicuro, da oggi, avrò più curiosità quando incontrerò un coleottero…
Complimenti. Contributo molto interessante. Così come gli invertebrati sono essenziali per il funzionamento delle nostre stesse società, allo stesso modo le risorse naturali hanno un ruolo fondamentale nelle economie degli stati. Pertanto, quali potrebbero essere gli strumenti per tutelare questi animali senza bloccare la domanda di risorse naturali?
Personalmente, credo che la risposta a questo genere di domande si possa trovare in una disciplina, un programma di ricerca, che si trova ancora nel suo stato infantile: l’economia ecologica.
http://en.wikipedia.org/wiki/Ecological_economics
Oltre alle numerose specie che ogni anno scompaiono, senza essere mai state catologate, fra non molti anni temo che dovremmo preoccuparci puredi quelle estinte che vengono riportate in vita dalla biologia molecolare, in barba ad ogni principio di precauzione. È non sto parlando di Jurassic Park.
http://tedxdeextinction.org/
Questi metterebbero paura a Mary Shelley.
una volta si diceva di persona vile e vagabonda
Vedo una certa incoerenza nell’uso del termine “capitale naturale”. A differenza di quello finanziario, che il nostro sistema economico si propone di conservare ed anzi accumulare (con risultati non sempre entusiasmanti, invero), per il capitale naturale c’è un unico destino: essere consumato.
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