Una delle situazioni in cui mi trovo spesso ultimamente è fare interventi pubblici e seminari sul petrolio, i combustibili fossili e l’energia in generale. Invariabilmente alla fine mi trovo incastrato in una discussione interminabile e tendenzialmente oziosa sulle alternative ai combustibili fossili.[…]
Quella con cui dovrei iniziare ogni incontro è una frase semplice: “chiariamo subito un punto, NON ESISTONO ALTERNATIVE AI COMBUSTIBILI FOSSILI”
Di Luca Pardi
Una delle situazioni in cui mi trovo spesso ultimamente è fare interventi pubblici e seminari sul petrolio, i combustibili fossili e l’energia in generale. Invariabilmente alla fine mi trovo incastrato in una discussione interminabile e tendenzialmente oziosa sulle alternative ai combustibili fossili.
Dalle prospettive della fusione nucleare, all’avanzata delle nuove fonti rinnovabili elettriche, dai nuovi mega-progetti idroelettrici cinesi ai combustibili ottenuti dalle alghe.
Forse dovrei iniziare in modo diverso. Non dimostrare che petrolio e combustibili fossili sono la parte preponderante del consumo energetico globale (e anche locale) e che essendo disponibili in quantità limitata porranno, o stanno già ponendo, un problema legato al loro inevitabile picco di produzione.
Quella con cui dovrei iniziare ogni incontro è una frase semplice: “chiariamo subito un punto, NON ESISTONO ALTERNATIVE AI COMBUSTIBILI FOSSILI”. E successivamente passare a chiarire il significato di questa frase.
NON ESISTONO ALTERNATIVE AI COMBUSTIBILI FOSSILI
- tali da mantenere un sistema dei trasporti come quello attuale,
- tali da alimentare il globalismo economico che si è sviluppato nel secolo scorso,
- tali da sostenere la bulimia consumista occidentale ed estenderla a tutti gli altri umani del pianeta,
- tali da garantire una produttività agricola come quella sperimentata nel secolo passato (a spese di una crescente semplificazione della biosfera e del consumo di una risorsa lentamente rinnovabile come il suolo).
Ci sono molti modi di produrre energia da fonti rinnovabili, nessuna di queste è una alternativa diretta al gas, al petrolio e al carbone. I combustibili fossili formano la base del sistema energetico, e il petrolio forma la base della base perché i combustibili liquidi che da esso provengono sono indispensabili per tutte le altre produzioni energetiche inclusi nucleare, idroelettrico e nuove fonti di energia rinnovabile. Nessuna infrastruttura energetica può essere costruita, fatta funzionare, manutenuta e smantellata senza il fondamentale apporto dei combustibili liquidi di origine petrolifera.
Le fonti energetiche non fossili sono tutte elettriche (a parte il solare termico e i biocombustibili). Producono energia elettrica e l’energia elettrica è difficilmente immagazzinabile (non ho detto che è impossibile, ma che è tecnicamente più difficile ed economicamente più costoso che non versare un liquido in un serbatoio stagno con un buon tappo a tenuta). L’energia elettrica è un bene che richiede l’esistenza di una infrastruttura tecnologica molto più complessa di quella necessaria per i combustibili fossili. La rete stradale esiste da migliaia di anni, anche se ha cambiato qualità, la rete elettrica esiste da meno di un secolo e anche se la consideriamo un fatto acquisito, richiede alte tecnologie per la gestione e la disponibilità di macchine che funzionano con i combustibili liquidi per la manutenzione.
Non ci chiediamo quindi quale sia l’alternativa possibile al petrolio. Non esiste. C’è, forse, un modo non troppo doloroso di uscire dall’era petrolifera, ma non è un problema tecnico, ma piuttosto un problema economico, sociale e politico. Il primo passo è fare la scelta strategica di uscirvi.
Chiaramente l’idea di mettere nella legge di stabilità le norme che facilitano le trivellazioni sul nostro territorio non va in questa direzione. Quindi, fra una stima e l’altra di efficienza, EROEI e payback time di questo o quel nuovo dispositivo fotovoltaico, è anche il caso di occuparci di quali siano le politiche messe in atto dai nostri governi e informare i cittadini su quello che non va. Perché, di questi tempi, raramente c’è qualcosa che va.
Bello e conciso. Concordo.
La politica della mobilità obbligatoria per i dipendenti a 100 km da casa – rimasta una proposta – è un esempio eclatante di come i nostri governanti vedono il futuro. Nell’era della scarsità globale, studiano il modo di buttare via le risorse rimaste. Decisamente è necessario cambiare rotta.
Ottimo articolo. Aggiungerei che il petrolio è indispensabile anche per far funzionare il carbone ed il gas con i metodi attuali. Ed anche carbone e gas sono sostituti molto parziali e problematici del greggio.
Del resto, quello che stiamo facendo credo che sia proprio questo: ridurre gli usi del petrolio, destinandolo sempre di più alle necessità dell’industria energetica. Sostituirlo negli usi in cui ciò è possibile con le altre fonti, principalmente carbone e gas.
Dal punto di vista strettamente energetico ho l’impressione che questa strategia stia riuscendo a trasformare il picco in un lungo plateau. Ma dal punto di vista economico il declino è inevitabile perché i costi aumentano e le rese diminuiscono. Dal punto di vista climatico ed ambientale è un disastro; stiamo realizzando il peggiore scenario possibile.
Jacopo Simonetta
Leggo da anni questo ed altri blog di chi scrive di queste cose, raramente commento davanti all’evidente competenza di scrive questi post molto interessanti. Ma mi sembra sempre di vedere un’insufficiente comprensione dei problemi dell’agricoltura. Si dice sempre che è stato il petrolio ad aumentare le rese agricole. Ma penso che questa affermazione non sia del tutto vera. Innanzitutto si parla di efficienza solo considerando il lavoro umano per quantità di prodotto, mentre a questo punto penso che sia più importante considerare la produttività per superficie coltivata. All’inizio, è vero, le rese sono aumentate, coltivando con trattore e concimi minerali dei terreni coltivati da sempre con metodi antichi e concime organico. Ma secondo me questo è successo principalmente grazie al fatto che si è dato un surplus di nutrienti ad un suolo già ricco, e tirando in superficie risorse che con gli aratri tradizionali sarebbero rimaste ad una profondità non raggiungibile dalla maggior parte delle piante annuali coltivate. Ma alla lunga questo ha portato ad un’impoverimento del suolo, e ad una diminuzione della produttività per ha. Certo, per mantenere l’attuale produzione senza mezzi a combustione interna ci vorrà più manodopera, che non mi pare che manchi, ma ci sono tecniche per aumentare la produttività per ha anche senza trattori e concimi chimici. Quindi penso che quando si parla di produttività in agricoltura si dovrebbe ragionare più sulla produttività per ha che di quella espressa in soldi. E forse anche da quel punto di vista un minore uso di trattori potrebbe ridurre i costi non poco. Per esempio seminare un ettaro a grano col trattore costa solo qualche ora di lavoro di un uomo col trattore, ma diverse centinaia di euro di nafta, concimi, ammortamento macchine etc, mentre lo stesso ettaro seminato con le seed balls sposterebbe la spesa dall’energia fossile a quella elettrica con un risparmio energetico superiore al 90%. Inoltre un certo tipo di agricoltura, se applicata su larga scala, potrebbe assorbire probabilmente tutte le emissioni di CO2 dovute all’uomo. Insomma sull’agricoltura penso che ci sia ancora parecchio da capire che fin’ora non è stato analizzato abbastanza a fondo.
Non sono un esperto agronomo, ma qui in Aspo non si è mai parlato di rese agricole per operatori impiegati nel settore o rese agricole quantificate in denaro, abbiamo sempre considerato il quantitativo di prodotto espresso in peso o calorie, per unità di superficie.
Che i terreni siano stati depauperati grazie alla meccanizzazione agricola che è stata possibile grazie all’impiego dei combustibili fossili è sicuramente vero, così come è possibile un’agricoltura diversa, almeno in alcune situazioni, senza variazioni significative di resa. Rimane però il fatto che le rese sono aumentate grazie alla rivoluzione verde, che in massima parte sono dovute all’impiego di macchine, fertilizzanti e fitofarmaci, tutti possibili mediante combustibili e l’industria petrolchimica. Solo la selezione delle sementi sfugge a questo ragionamento.
Senza combustibili fossili l’impiego di manodopera e le tecniche agricole dovrebbero cambiare radicalmente, e non c’è attualmente fonte “alternativa” che potrebbe evitarlo. Questo è il senso dell’articolo.
Insomma non ci sono soluzioni “facili”.
forse è per questo che la IEA ha introdotto carbone ed uranio nel suo Outlook, per tranquillizzare circa la perdita di energia da oil. Come dire: tanto ce n’è in altri minerali.
Ho come l’impressione che Remo Angelini, non abbia mai coltivato un orto in vita sua! 😉 , ma a parte questo finalmente un’articolo realista. Non esiste sostituto del petrolio. L’unica fonte alternativa di energia a basso costo a mio avviso potrebbe essere il nucleare. E’ questo lo dice un ambientalista convinto antinuclearista da sempre! Ci vogliono auto elettriche e batterie di nuova generazione e un cambio di mentalità e di modelli di produzione, prima del crollo del plateau , ma non riuscermo mai a organizzarci in tempo. Insomma non sono per nulla ottimista.
credo inoltre che poter riutilizzare i terreni che fino ad oggi sono stati sfruttati con tecniche di agricoltura intensiva e siano stati dopati da concimi minerali e che si trovano e si troveranno in condizioni di sempre maggior degrado, sarebbe quantomeno una sfida estremamente difficile da affrontare….
quello che voglio dire è che metodi agricoli che producono rese simili e in alcuni casi uguali ai sistemi intensivi esistono, certo, ma è necessario partire da terreni non troppo compromessi.
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