Creare un nemico invincibile

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Un viaggio alla ricerca delle cause degli attacchi terroristici di Parigi, tra guerre, petrolio, clima e demografia. Una necessità ovvia che, ovviamente, sfugge al circo dei commenti di questi giorni.

Un avviso. Questo è un post che non volevo scrivere su eventi che speravo di non vedere accadere. Ma alla fine ho ceduto alla rabbia interiore. I toni non saranno quindi sempre neutri.

Di Dario Faccini

Non ce la faccio più a sentire commenti sui tragici attentati di Parigi del 14 novembre. Cordoglio, shock, desiderio di pace. Mi sta bene tutto, davvero. Ma non sopporto che nello spettro delle emozioni e dei dettagli di cronaca manchi  l’unica domanda che ha senso farsi in una situazione come questa: quali sono le cause?

Intendo le cause vere, quelle ultime, che hanno contribuito alla catena di eventi che ha portato sino agli attentati di Parigi. Come mai nessuno si pone questa domanda? Paura delle risposte?

Proverò allora a darne qualcuna, andando a ritroso nei meccanismi causa-effetto, sapendo che la realtà è molto complessa e ogni tentativo di semplificarla allontana un pò dalla comprensione degli eventi. Chi vuole può dare un contributo nei commenti.

La nuova multinazionale del terrore

La maggior parte dei commentatori sembra ignorare un fatto nuovo e sorprendente: c’è uno Stato che ha rivendicato gli attentati di Parigi che non dovrebbe esistere e che di fatto non esisteva sino al 2013. E’ lo Stato Islamico (detto anche Califfato, precedentemente chiamato ISIS o ISIL), un potente gruppo jihadista sunnita che controlla gran parte della Siria e la regione occidentale dell’Iraq. Sulla sua storia abbiamo già scritto l’anno scorso. Da allora lo Stato Islamico ha perso terreno in Iraq sia sul fronte sciita sia su quello curdo, ma si è rafforzato in Siria, nonostante l’intervento di Hezbollah a fianco del governo Siriano.

IS al 14-11-2015Figura 1: Zone controllate dallo Stato Islamico (in grigio). Fonte: wikipedia.

Lo Stato Islamico è fondamentalmente diverso da ogni altro gruppo terrorista di matrice jihadista mai esistito. Il suo successo è dovuto alla capacità di perseguire obiettivi pratici di lungo periodo, tra cui: il controllo del territorio occupato a livello tribale, amministrativo ed economico; l’uso evoluto dei media e delle nuove tecnologie in combinazione con atti di estrema violenza per ottenere supporto e riconoscimento globali;  il distacco da un visione ormai tradizionale del terrorismo islamico incarnata da Al-Qaeda, da cui si è separato nel 2014.

Lo Stato Islamico è divenuto così in pochissimi anni il gruppo leader per ogni altra formazione combattente che adotti la Sharia (legge religiosa islamica) come riferimento del diritto. Ha ottenuto giuramenti di fedeltà da gruppi jihadisti attivi in Libia, Egitto, Algeria, Arabi Saudita, Afghanistan, Pakistan, India, Nigeria. I successi militari dello Stato Islamico permettono di assorbire gran parte dei ricchi finanziamenti privati che vengono donati nel mondo ai gruppi jihadisti militari e consentono di reclutare a ciclo continuo nuovi aspiranti combattenti praticamente da ogni paese (inclusa l’Italia). Un uso “sapiente” del contrabbando (petrolio, armi, antichità), dell’estorsione (tasse, riscatti di personalità rapite)  e di altri crimini (furti, contraffazioni) rende sostenibile lo sforzo bellico continuamente profuso.

E’ quindi la prima multinazionale del terrore su questa scala e la chiave della sua esistenza è soltanto una: il controllo di un territorio grande due terzi dell’Italia.

A questo punto la nuova domanda è: come è possibile che un gruppo terroristico sia arrivato ad occupare enormi porzioni di territorio di due stati sovrani? Peraltro, nel caso specifico, due stati laici tradizionalmente molto bene armati e centralizzati.

LA guerra è come le ciliegie

L’ascesa dello Stato Islamico era impossibile prima del 2003. Siria e Iraq erano infatti due stati stabili, con un governo dittatoriale molto forte espressione del partito Ba’th. Un serie di fattori militari, petroliferi, climatici e demografici cambia però in meno di un decennio lo scenario.

  • La guerra genera guerra. Gli attacchi dell’11 Settembre 2001, innescano una risposta militare scomposta degli USA in Afghanistan e, incredibilmente, anche in Iraq nel 2003. L’unica motivazione razionale di questa scelta è nella presenza dei ricchissimi giacimenti petroliferi nel nord e sud del paese.  La facile vittoria sul campo della coalizione guidata dagli USA è purtroppo seguita da una serie impressionante di errori post bellici, non ultima l’incomprensione da parte statunitense della complessità delle etnie, religioni e tribù che abitano quel paese. L’Iraq diventa così un nuovo campo di battaglia e un santuario per le formazioni jihadiste combattenti di tutto il mondo. Tra queste nel 2006 nasce il gruppo che si fa chiamare Stato Islamico dell’Iraq.
  • Le primavere arabe portano all’inverno arabo. Nel 2011 il Medio Oriente e il Nord Africa (MENA) sono attraversati da una serie di proteste e ribellioni che prendono il nome di primavera araba. In Libia e Siria porteranno a guerre civili con il coinvolgimento degli USA, dell’Europa e della Turchia nell’aiutare la ribellione ai governi nazionali. In entrambi i casi capita ciò che è già successo in Iraq: la guerra apre i confini di quei paesi a formazioni jihadiste combattenti. Per lo Stato Islamico dell’Iraq è un’occasione unica. Nel 2013 attraversa il confine con la Siria ed effettua un salto di qualità creandosi uno stato tutto suo, in conflitto con tutti gli altri attori della guerra civile siriana, comprese le altre formazioni jihadiste. Da qui in poi è un crescendo per il neonato ISIS. Ritornerà nel 2014 in Iraq sfruttando lo scontento della popolazione sunnita nei confronti del governo di Baghdad dilagando nella regione occidentale di Al-Anbar prima e poi a nord occupando Mosul ed entrando in territorio curdo.

Sin qui emerge chiaramente il ruolo destabilizzante dell’Occidente e l’impatto delle primavera araba in Siria. Vediamo di approfondire quest’ultima.

Cosa rende uno stato fallito

Cosa causa nel 2011 i moti della primavera araba? Vediamo prima  i fattori che hanno contribuito in generale in tutta l’area MENA (Nord Africa e nel Medio Oriente):

  • Cause endogene storiche: parte dell’insoddisfazione popolare deriva dalla corruzione diffusa, dalla violazione dei diritti civili e dalla mancanza di rappresentanza della popolazione in governi spesso dittatoriali.
  • Pressione demografica insostenibile: gran parte delle rivolte vede giovani in prima linea che si scambiano idee e si organizzano sfruttando social network, smartphone e internet. Non è un caso che siano proprio i giovani il motore principale. Tra il 1950 e il 1980 in tutta l’area MENA è calata la mortalità infantile ma è rimasta alto il tasso di natalità, ciò ha condotto ad alti tassi di crescita delle popolazioni che si traduce adesso in una generazione di giovani istruiti che non possono essere assorbiti dal mercato del lavoro. I tassi di disoccupazione giovanile dell’area MENA sono tra i più alti al mondo.
  • Dipendenza alimentare dalle importazioni. L’area MENA è particolarmente sensibile al prezzo internazionale dei generi alimentari perché, come indicato dalla Banca Mondiale, più del 50% del cibo consumato è importato, rendendo la regione la maggiore importatrice di cibo al mondo. Ancora tra le concause troviamo gli alti tassi di crescita delle popolazioni che spingono la domanda di cibo, combinati con una produzione agricola interna debole, limitata fortemente dalla disponibilità di acqua e suolo.
  • L’aumento dal 2003 dei prezzi internazionali dei generi alimentari. Un tema caro ad ASPO Italia. Dal 2003 al 2008 una serie di fattori concomitanti spinge l’aumento dei prezzi dei generi alimentari:

1. L’aumento della domanda di cereali usati sempre più massivamente nell’alimentazione animale a sua volta indotta da un aumento della domanda di carne.

2. Laumento del prezzo del petrolio spinge quello dei generi alimentari, sia attraverso l’incremento della domanda di mais per la produzione di bioetanolo (negli USA), sia per l’incremento dei costi del settore agricolo che dipende pesantemente dal petrolio (gasolio per le macchine agricole) e dal gas naturale (aumento del costo dei fertilizzanti). Vedi figura 2.

3. L’indebolimento del dollaro.

oil and foodFigura 2: Andamento del prezzo del Petrolio Brent (Fonte: US EIA) e indice dei prezzi alimentari (Fonte: FAO)

Sebbene il ruolo giocato nella primavera araba dall’aumento del prezzo internazionale degli alimentari sia dibattuto, è acclarato che abbia impattato in parte direttamente con il trasferimento dei maggiori costi sulle popolazioni e in parte indirettamente attraverso il peggioramento dei bilanci statali dovuti a politiche pubbliche di contenimento dell’aumento dei prezzi.

QUEL brutto “clima” in Siria

In Siria, dove lo Stato Islamico trova infine le condizioni per ritagliarsi un territorio proprio, ci sono anche altri fattori al lavoro.

Secondo alcuni potrebbe essere stato il superamento del picco del petrolio a mandare in crisi il bilancio statale. E’ un’ipotesi però piuttosto debole: il superamento del picco è un dato di fatto, ma il contemporaneo aumento dei prezzi del barile ha mantenuto più o meno costanti i profitti derivanti (vedere le fig. 8 e 9 su questo post di Effetto Risorse).

Piuttosto, le cause sono da cercare in un effetto indiretto dell’uso del petrolio.

Alla fine del secolo scorso il governo siriano inizia politiche agricole espansive come la ridistribuzione delle terre, contributi per il gasolio agricolo e progetti di irrigazione. Il risultato sul lungo termine è uno sfruttamento insostenibile delle falde acquifere che lascia il settore agricolo alla mercé delle precipitazioni.

Proprio dal 2007 al 2010 inizia una siccità senza precedenti in tutta la Mezzaluna Fertile. In Siria l’agricoltura collassa, gli allevamenti sono quasi azzerati, il prezzo dei generi alimentari raddoppia in un solo anno. Enormi masse di diseredati abbandonano le campagne e si trasferiscono in città. Quando nel 2011 la primavera araba prende il via dalla Tunisia, la Siria è una polveriera pronta ad esplodere.

Ma l’elemento cruciale è che anche la siccità non è stata un evento completamente fortuito. Uno studio pubblicato su PNAS nel novembre 2014, collega i cambiamenti climatici con la siccità avvenuta in Siria, affermando che episodi simili sono ora dalle 2 alle 3 volte più probabili. E non è solo la Siria ad essere coinvolta, tutto il Mediterraneo Orientale è destinato a diventare più caldo e secco.

camminare ad occhi chiusi

E’ molto triste osservare come nel dibattito pubblico manchi la capacità di approfondire le cause degli eventi, in particolar modo di quelli purtroppo più tragici. E’ come se ci fosse una rimozione collettiva che tiene la narrazione al livello “uomini cattivi che fanno cose cattive”. Una precisa volontà di non sapere.

Vengono così dimenticati i gravi errori militari e geopolitici degli ultimi anni. Viene meno il riconoscimento dell’influenza reciproca tra dipendenza dalle fonti fossili, cambiamenti climatici, demografia e sicurezza. E questo nonostante ci sia una letteratura scientifica sterminata sul tema.

E non è solo il tabù nel cercare le cause dei problemi, ma anche nel ricordare le previsioni e gli allarmi lanciati qualche anno fa. Prendiamo un libro del 2008 di Lester Brown,  “Piano B: mobilitarsi per salvare la civiltà“, dove si metteva in guardia dai problemi che sarebbero derivati dalla dipendenza dal petrolio, dai cambiamenti climatici, dalla transizione demografica e dal sovrasfruttamento delle risorse naturali.

Gli Stati falliscono quando i governi nazionali perdono il controllo di una parte o di tutto il loro territorio e non possono più garantire la sicurezza perosnale dei propri cittadini.

[…] Conflitti possono diffondersi facilmente a stati vicini. […] possono diventare un terreno per l’addestramento di  gruppi terroristici internazionali […] a causa della mancanza di servizi sanitari funzionanti, stati indeboliti possono diventare sorgenti di malattie infettive [come l’epidemia di poliomielite in Siria, o quella di Ebola in Africa Occidentale]

La classifica dell’Indice degli Stati Fragili pubblicata annualmente dal Foreign Policy mostra proprio questo. Gli stati più fragili sono quelli con la sezione degli indicatori demografici e ambientali peggiori (figura 3).

overall rankingsdemographic and environmentFigura 3: Classifica generale degli Stati Fragili (in alto) e per la sola sezione degli indicatori di pressione demografica e ambientale (Fonte: Foreign Policy)

E’ tutto collegato. Mentre è molto comodo semplificare le cause dei problemi a poche battute, come fanno spesso i nostri leader politici, questo non solo non aiuta, ma spesso allontana dalle soluzioni.

Soluzioni di cui una parte avrà una possibilità unica di essere messa in campo proprio a Parigi con la Conferenza COP 21 sul Clima che si terrà tra due settimane. Un mondo in cui usiamo meno energia, bruciamo meno petrolio, sfruttiamo più rinnovabili e limitiamo gli effetti dei cambiamenti climatici è anche un mondo più sicuro. Per tutti.

Ci fa così schifo un mondo così?

Ma forse il punto non è scegliere tra ciò che ci piace o meno. Forse il punto è accettare che sinora abbiamo commesso molti errori. Forse ci riesce difficile aprire gli occhi e affrontare il fatto che finora i nemici ce li siamo costruiti con le nostre mani.

 

 

8 risposte a “Creare un nemico invincibile

  1. Dario hai sprecato una ottima occasione di non parlare col plurale; il noi che usi di continuo per chi è? noi chi? non c’è un noi uomini, siamo divisi in classi, questo è il punto cruciale continuare a trascurarlo non migliorerà la prognosi prova a scrivere al posto del noi la classe dirigente di quello di quell’altro paese o la borghesia di quello o di quell’altro paese le cose acquistano una prospettiva diversa e anche la rabbia può essere incanalata verso un obbiettivo chiaro così siamo alle solite, l’uomo è cattivo o al massimo i leader politici sbagliato

    • La colpa è sempre eterologa: piuttosto facile
      NOI tutti siamo responsabili.
      Le classi dirigenti sono lo specchio di ciò che la maggioranza riflette
      Nel quotidiano commentiamo tutti errori anche nel gesto semplice di acquistare al supermercato dove c’è sempre tutto

  2. Grazie Dario.
    Un bellissimo ed esaustivo riassunto di una situazione esplosiva (in corso di esplosione?).
    Purtroppo, al solito, è praticamente impossibile per l’umanità ragionare in modo sistemico.
    Solo il pensiero lineare è comprensibile ai più: “loro cattivi, loro vanno eliminati”.
    E’ grazie a post come questo che possiamo ancora sperare che almeno un po’ della vera complessità dietro agli eventi storici che stiamo vivendo (e che vivremo con crescente frequenza in futuro) sia esposta in modo chiaro per chi ha voglia di comprenderla.

  3. Ricordo che nell’ estate 2010 la Russia, all’ epoca terzo esportatore mondiale di grano, fu investita da una calura senza precedenti: a Mosca nel mese di luglio la temperatura fu di ben 10 °C superiore alla media, come scriveva Lester Brown nel libro Un Mondo al bivio.

    La produzione cerealicola russa diminuì di ben 400 milioni di quintali ed i prezzi del grano aumentarono rapidamente a livello mondiale e così nel 2011 poté esplodere “la primavera araba”.

    • Esattamente. I russi alle strette, oppressi da terribili incendi, arrivarono a vietare parte delle esportazioni. Il problema potrebbe divenire critico anche in futuro, posto che per varie ragioni ci si affida sempre più spesso ai cereali che provengono da quelle parti.

  4. Post bellissimo ed esaustivo. Senza il complottismo che fa ormai da risonante ad ogni discorso ufficiale (e un po’ ce lo meritiamo pure) e articolato nel cercare di mettere in ordine le fila del discorso. Ogni tanto una boccata d’aria fresca come questa fa bene.Cari saluti.

  5. Se non altro questi terroristi da quartiere cittadino stanno involontariamente disvelando i piani di quelli da quartier generale.
    Questi sì in grado di seminare il terrore cosmopolita in milioni di persone.
    E per generazioni intere.
    E comunque siamo individui oltre che ammassi di caste, classi, folle, resse
    ed assembramenti?
    E ‘ vero, possiamo recitare la parte del nessuno, di uno, o del centomillesimo pari a agli altri novantanovemila e rotti.
    Ma non fare finta che quando è il nostro turno qualcuno ci abbia buttato sul palco con la partitura sbagliata.
    Si può partire dalla scatoletta di tonno, per giungere su, su, fino all’impianto termocarboelettrico da mille megawatt.
    E agire di conseguenza lasciando sullo scaffale la merce che è più solo ridotta a merce e spegnendo l’elettrodomestico che aspira energia e riduce il mondo in polvere.

    Marco Sclarandis

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