Lo tocchiamo. Lo mangiamo. Lo respiriamo (sempre di più).
Com’è possibile che il primo cancerogeno ad essere stato scoperto sia anche l’unico in crescita in Italia?
Di Dario Faccini
Questo articolo è preceduto da una prima e una seconda parte, già pubblicate.
UN VECCHIO NEMICO
Nel 700 e nell’800 uccideva gli spazzacamini come se fossero mosche. All’epoca non aveva ancora un nome. Si sapeva solo l’effetto che provocava: il cancro dello spazzacamino, un carcinoma allo scroto che non lasciava scampo.
Scrive in proposito il chirurgo Percival Pott alla fine del ‘700:
Il destino di queste persone sembra singolarmente duro: nella loro prima infanzia sono per lo più trattate con grande brutalità, e quasi fatte morire con il freddo e la fame; vengono spinti in camini stretti, e talvolta caldi, dove sono sepolte, bruciate e quasi soffocate; e quando arrivano alla pubertà, diventano soggette alla malattia più fetida, dolorosa e fatale . [1]
La visione romantica del lavoro di spazzacamino data da Pamela Lyndon Travers in Mary Poppins(1906), si infrange contro la dura realtà: nonostante i lenti ma progressivi miglioramenti lavorativi nell’arte di pulire le canne fumarie, primo tra tutti il divieto di utilizzo di bambini, l’incidenza del carcinoma allo scroto negli spazzacamini sarà la più alta tra tutte le categorie professionali, almeno sino al 1940 [1].
Rimane una domanda: chi era il cancerogeno responsabile?
La risposta arriverà solo dopo enormi sforzi di ricerca nel 1933, in quello oggi noto come Istituto per la Ricerca sul Cancro di Londra.
A partire dall’800 si era notata un’alta incidenza di carcinomi anche tra i lavoratori che preparavano il carbon coke cuocendo in grandi stufe il carbon fossile: tra i residui rimaneva anche il catrame di carbone da cui potevano essere successivamente estratti vari composti che all’epoca trovavano i primi impieghi. Il cancerogeno doveva trovarsi lì, nel catrame di carbone.
Con un impegno di oltre 10 anni un gruppo di ricercatori londinesi inizia nel 1922 un lavoro minuziosissimo: caratterizzando oltre 60 nuovi composti chimici presenti nel catrame di carbone, riuscirà nel 1931 ad ottenere da due tonnellate di catrame soltanto 7 grammi di un composto cristallino giallo, sconosciuto e in grado di indurre tumori della pelle in cavie di laboratorio; altri due anni di lavoro permetteranno di identificare il procedimento per sintesi di due composti altamente cancerogeni, il Benza(a)Pirene (BaP) e il Benzo(e)Pirene. [2]
Figura 1: Struttura del Benzo(a)Pirene, a sinistra, e del Benzo(e)Pirene, a destra.
IPA: UN’INTERA BANDA DI CRIMINALI INCALLITI
Nei successivi 80 anni il benzo(a)pirene sarà oggetto di un numero altissimo di ricerche. Insieme con un altro centinaio di composti analoghi sarà classificato nel gruppo degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA, PAH in inglese), prodotti in tutte le combustioni incomplete e le pirolisi (“cotture” in assenza di ossigeno) di materia organica, come quelle del petrolio, del carbone, della legna, delle sigarette e del cibo. La tipica bruciatura nella pizza o nella carne grigliata è una fonte certa e concentrata di IPA. Oltre al benzo(a)pirene circa una ventina di altri IPA sono dannosi per l’uomo e la loro persistenza nell’ambiente li rende inquinanti temibili. [2]
Gli IPA possono entrare nell’organismo attraverso la respirazione (fumo, aria contaminata), il semplice contatto (oli minerali) e l’ingestione. Una volta che sono entrati nell’organismo si diffondono nei tessuti grassi. Tra gli IPA, il benzo(a)pirene ha prodotto tumori in tutte le specie di animali di laboratorio su cui è stato testato, indipendentemente dalla via di esposizone tra cui: tumori ai polmoni, alla pelle, al prestomaco, al fegato, alle mammelle oltre a sarcomi e linfomi. L’Agenzia Internazione per la Ricerca sul Cancro (IARC) classifica il benzo(a)pirene come cancerogeno certo per l’uomo. [2]
Per essere chiari: solo le Diossine e i PCB sono più pericolosi degli IPA.
In atmosfera poi, anche gli IPA non dannosi possono essere “attivati” da reazioni con l’acido nitrico e l’ozono, trasformandosi in inquinanti secondari come i nitro-IPA e IPA ossidati. [2]
Il benzo(a)pirene, per la sua elevata cancerogenicità anche in minime dosi, per le concentrazioni che può raggiungere nell’aria ambiente e per la conoscenze raccolte in decenni di studi, è stato scelto come marker, cioè indicatore di carcinogenicità, per tutta la classe di IPA presenti nell’aria. [2]
Più dell’80% del benzo(a)pirene presente nell’aria si trova adsorbito sul particolato, in particelle di diametro inferiore a 2,5um (PM2,5). [2]
FATTA LA LEGGE, SCOPERTO IL PROBLEMA
Un persona normale a questo punto troverebbe quantomeno ragionevole che esistano da tempo leggi che tutelino i cittadini dagli IPA presenti nell’aria. Se non altro perché se ne conosce da più di 80 anni la pericolosità.
In effetti l’Italia ha fatto un tentativo nel 1994, con una legge all’avanguardia in Europa. Poi sono arrivate nuovi leggi, di cui non si sentiva molto il bisogno, che hanno modificato quelle vecchie. Morale: il valore 1ug/m3 (media annua) che doveva essere un valore obiettivo “da raggiungere e rispettare“ già nel 1999, è diventato “da conseguire, ove possibile” dal 2013 in poi. [2]
Beh, meglio tardi che mai, si potrebbe pensare. Ora finalmente c’è una legge, quindi siamo più o meno tutelati.
No.
Più prosaicamente, ora che c’è la legge, il problema non si può più tenere nascosto.
UN PROBLEMA IN CRESCITA
Nell’ultimo Annuario dei dati Ambientali (2014-2015) l’ISPRA, per la prima volta, afferma che:
“Il benzo(a)pirene è l’unico inquinante a presentare livelli atmosferici in crescita in Europa e in Italia.”
E in un altro documento l’ISPRA specifica:
Questo aspetto è strettamente legato alle crescenti emissioni di particolato, soprattutto PM2,5, dalla combustione delle biomasse per il riscaldamento domestico. Negli ultimi anni l’uso delle biomasse per il riscaldamento domestico, incentivato nel piano nazionale per le energie rinnovabili, si è diffuso ampiamente assumendo un ruolo piuttosto importante; in particolar modo è cresciuto l’utilizzo della legna per il suo basso costo e per una generalizzata percezione che questa scelta sia green. [2]
Come abbiamo già fatto per le PM2,5 e per tutti gli altri inquinanti, mostriamo allora il legame causa-effetto tra l’uso delle biomasse (legna e pellet) e le emissioni di IPA in Italia.
Figura 2: Serie storica delle emissioni nazionali di IPA (benzo(a)pirene, benzo(b)fluorantene, benzo(k)fluorantene e indeno(1,2,3-cd)pirene), con in evidenza il contributo del settore civile tramite gli impianti stazionari, nella quasi totalità sistemi di riscaldamento a biomasse. L’impennata tra il 2012 e il 2013 è dovuta alla revisione del contributo della legna ad opera dell’ISTAT. Il brusco calo tra 1999 e 2000 sembra invece dovuto ad una revisione delle emissioni nella produzione di acciaio, con un calo degli IPA emessi da questo settore di ben il 65% anno su anno. Fonte: rielaborazione dell’autore su dati ISPRA [2].
Innanzitutto si nota come la tendenza non sia recente, ma, come abbiamo già visto nella prime e seconda parte di questa serie di articoli, la crescita inizi oltre dieci anni fa. Possiamo quindi dire che l’ISPRA non sia stata proprio tempestiva nel segnalare il problema.
Poi se vogliamo disaggregare le emissioni del 2013 per settore e combustibile, si scopre che le biomasse usate per riscaldamento nel settore residenziale pesano per il 65% delle emissioni di IPA, seguite dall’Industria e Solventi (15,5%), dalle sorgenti naturali come gli incendi (7,5%) e dall’incenerimento dei rifiuti (6,8%).
Figura 3: Ripartizione per settore e combustibile delle emissioni di IPA in Italia. Fonte: dati ISPRA [2].
A differenza del PM2,5, per gli IPA il fondo naturale è molto basso: il ruolo soverchiante delle biomasse non è quindi discutibile.
LO STATO E’ FUORILEGGE, DUE VOLTE
Ricapitoliamo.
Le emissioni nazionali di IPA, con il benzo(a)pirene in testa, sono in crescita. La colpa è dell’uso sempre più diffuso di biomasse per il riscaldamento nel settore residenziale, incentivate dal Piano di Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili (Ministero Sviluppo Economico). Quindi è colpa anche dello Stato.
D’altra parte lo Stato ha emanato una legge (D.Lgs 155/2010) che fissa un valore obiettivo che viene già oggi superato nel 28% delle aree urbane, soprattutto al Nord e in molte località montane. Circa il 12,5% della popolazione italiana vive in una zona “fuorilegge” per esposizione agli IPA. In tali zone la stessa legge prevede l’obbligo per Regioni e Province Autonome di intraprendere misure necessarie per agire sulle sorgenti di emissione (anche diffuse)[3] e raggiungere il valore obiettivo. [2]
A tutt’oggi, non risulta intrapresa nessuna misura lontanamente efficace per frenare le emissioni di IPA derivante dalle biomasse usate nel residenziale.
Quindi lo Stato è fuorilegge due volte: la prima perché sta contribuendo alla diffusione delle biomasse; la seconda perché non prende misure efficaci per frenarne le emissioni in crescita.
CHE VOGLIAMO FARE?
Le biomasse sono tutt’altro che “green”, è tempo di guardare in faccia la realtà.
Come abbiamo già visto, legna e pellet sono responsabili di gran parte delle emissioni nazionali di PM2,5 (particolato primario), di IPA,tra cui proprio il temibile benzo(a)pirene, e di monossido di carbonio.
Come se non bastasse ormai anche quasi metà delle emissioni nazionali di Diossine e Furani sono imputabili alle biomasse.
Senza dimenticare le quote di emissioni di PCB, HCB, COVNM e Cadmio (tutt’altro che trascurabili) imputabili a legna e pellet, che sono in continuo aumento.
Con il contributo determinante degli IPA emessi, unito a quello delle Diossine e in misura minore dei PCB, si può affermare che non solo le biomasse contribuiscono sempre più all’emissione di polveri sottili (PM2,5), ma anche all’aumento della loro tossicità.
Almeno però, non contribuiscono al cambiamento climatico. Giusto?
Non proprio.
Si può dire che contribuiscano meno di altre fonti energetiche.
“Quanto meno” sarà oggetto di un prossimo articolo.
Note
[1] A.H. Waldron, A brief history of scrotal cancer
[2] La quasi totalità dei riferimenti alle fonti di questo post sono contenuti nel seguente articolo, di cui questo post è in realtà una sintesi divulgativa:
D. Faccini, Benzopirene: l’aromatico assassino. Storia, natura, leggi e crimini di un inquinante in crescita, reperibile sul sito web Cittadini per l’Aria, oppure la copia mantenuta sul sito di ASPO Italia.
[3] Che non comportino “costi sproporzionati”, è bene precisarlo. Non si sa mai che qualche autorità pubblica troppo zelante possa mettere la salute dei cittadini davanti ad ogni altra cosa. Art 9, commi 2 e 5 del D.Lgs 155/2010.
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Un sentito grazie per questi tre ottimi articoli da un neolaureato in scienze forestali che in questi anni ha tanto sentito parlare di biomasse come salvezza a tutti i mali…
Questi articoli dovrebbero essere spinti e condivisi ovunque….
Aspettiamo il quarto!!
La serie di articoli é interessantissima e, per quanto mi riguarda, anche sorprendente. D’impeto mi verrebbe da dire che ogni attività umana è deleteria in qualche modo: il particolato di una vecchia lampada ad olio in spazi chiusi per ore e le emissioni delle stufe a carbone domestiche che ha respirato mia madre in casa non sono mai state misurate. Il particolato secondario da emissioni azotate rurali (se ho compreso l’articolo di Nature e non è mica detto:-) in presenza di un uso, non controllato, di letame animale, allora non si registrava. La fuligine da vecchie lampada a cherosene che respirano milioni i africani nelle loro capanne quanto pesa sulla loro salute?. Grazie a faló e forni a legna da sempre l’uomo assume idrocarburi policiclici e acrilammide. Non voglio sottostimare il problema, tutt’altro, peró ho letto che in un’auto chiusa il fumo passivo di sigaretta porta un tasso di particolato maggiore di un fattore cento nei polmoni degli occupanti il mezzo. Figuriamoci l’attivo. Grazie e cari saluti.
Devo ammettere che quest’articolo mi ha aperto gli occhi su una realtà a me sconosciuta. Ho trovato l’esposizione dei fatti davvero interessante e credo che il problema andrebbe reso noto in misura maggiore. Concordo anche sul fatto che, purtroppo, al giorno d’oggi dobbiamo confrontarci con moltissime sostanze inquinanti e, seppur credo che bisognerebbe intervenire, non so quanto questo sia effettivamente fattibile se non cambia la mentalità delle persone.
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