Ma non dovevamo decarbonizzare?
E’ chiaro che l’eolico è irrinunciabile per la transizione?
Abbiamo capito che siamo fuori tempo massimo?
Di Mirco Rossi
LA CRONACA E LA FOLLIA DEL GAS
In questo periodo si discute animatamente sulle sanzioni da mettere in atto verso la Russia dopo oltre 50 giorni di guerra in Ucraina. La situazione determina un grande attivismo per recuperare metano da chiunque ne abbia e ce lo voglia vendere.
Non sappiamo quanto resisterà il cordone ombelicale che ci collega alla Russia, né chi lo strapperà.
Che il nuovo gas arrivi via tubo o liquido, con le gasiere, non fa ora differenza. Basta che arrivi, anche se costa di più.
Il primo “successo” è stato affidarci ancor più all’Algeria. Un paese politicamente instabile. Legato alla Russia per la dipendenza alimentare, socialmente turbolento, in pessimi rapporti con il confinante Marocco, si è dichiarato disposto ad aumentare di un terzo, con gradualità, la tradizionale fornitura. Ammesso che possa realmente incrementare la produzione dei suoi giacimenti, l’accordo crea una situazione politicamente conflittuale con la Spagna che, negando la richiesta di indipendenza Saharawi, il Sahara Occidentale, appoggia il Marocco.
Stiamo per cantierare due rigassificatori galleggianti. Ministri e AD girano come trottole a prenotare navi gasiere da riempire che, in ogni caso, non potranno arrivare subito.
Ma non dovevamo decarbonizzare?
Non dovevamo uscire dal fossile?
Non è più vero che il metano emette carbonio?
Certo, lo fa in quantità inferiore (per unità di energia resa) dei suoi due compari fossili, ma ci apprestiamo a consumarne sempre di più dimenticando – soprattutto! – che una molecola, delle quasi inevitabili perdite di questo gas, in atmosfera determinerà, per 20-25 anni (p.e. da oggi al 2050), un incremento dell’effetto serra 80-90 volte superiore a quello di una molecola di CO2. Con effetti 30-35 volte maggiori nell’arco di un secolo.
Si dirà che, nell’immediato e nel breve periodo, questo è il prezzo che siamo obbligati a pagare per evitare il collasso della nostra economia. Difficile negarlo, ma abbiamo iniziato, stiamo facendo, con l’urgenza e l’ampiezza indispensabili, tutti gli sforzi per liberarci da questo cappio? Per limitare le conseguenze che ormai sono chiare anche per chi preferisce restare costantemente “disattento”?
TRANSIZIONE, MA AD OCCHI APERTI
Esiste qualche vero, reale, concreto motivo che ci impedisce di eliminare le pastoie che bloccano lo sviluppo delle energie rinnovabili? Tutte, ma soprattutto eolico e fotovoltaico, facendo però molta attenzione a non considerare rinnovabile o carbon neutral ciò che non lo è.
Si ascoltano entusiastici sostegni all’impiego della biomassa solida. Da consumare, perché bio e meno costosa, in casa, nelle piccole industrie, nelle centrali di teleriscaldamento o elettriche, dimenticando che si tratta di una risorsa limitata, che se usata massicciamente non è in grado di riprodursi adeguatamente: la legna di un albero cresciuto in venti, o persino cinquanta anni si brucia in poche ore. Dovrebbero essere indirizzati alla combustione solo i residui prossimi boschivi, le quote di risulta di certe lavorazioni. Quantità marginali, che altrimenti andrebbero sprecate.
Il confronto temporale vale anche per la quantità di carbonio. È comodo sostenere strumentalmente, che l’uso di questa fonte riesce a mantenerne l’equilibrio. Si finge di dimenticare che il recupero del carbonio, emesso in fase di combustione, un nuovo albero (ammesso che tutti quelli bruciati siano poi sostituiti da un nuovo alberello) può sequestrarlo nuovamente solo con gradualità, crescendo per decenni. Durante i quali altre emissioni di altri alberi bruciati andranno ad accumularsi in atmosfera, per determinare conseguenze lunghe secoli.
Analoghi fervidi pronunciamenti riguardano i bio-combustibili, una strada fortemente contraddittoria e persino dubbia dal punto di vista della convenienza energetica. Coltivare piante per “costruire” carburanti significa previlegiare l’uso della terra fertile al fine di muoverci, spostare merci, piuttosto che usarla per cibarci o dar da mangiare. E di terra fertile ne stiamo avendo a disposizione sempre meno, colpita dalla siccità, dalla desertificazione crescente, dalla carenza o eccezionalità delle precipitazioni, dall’ipersfruttamento e dalla definitiva cementificazione di alcune decine di migliaia di ettari ogni anno, riferendoci al solo nostro paese. E lo si fa per attivare un processo che, quando va bene, rende poco o niente dal punto di vista energetico (una o due volte il “costo”) ma invece parecchio dal punto di vista economico.
La diffusione del fotovoltaico per uso diretto domestico, pompe di calore in particolare, e una gestione molto più oculata e parsimoniosa delle temperature, potrebbero ridurre molto il fabbisogno di energia termica ed elettrica nelle abitazioni. Ancor prima di ricorrere a coibentazioni o interventi strutturali, utilissimi, ma ben più costosi. Vantaggiosa e facilmente perseguibile, sarebbe la sostituzione degli infissi o, perlomeno, l’installazione di vetri camera nei vecchi.
Importante sarebbe anche la diffusione della bassa entalpia. Sfruttare le basse temperature superficiali del terreno con l’impiego pompe di calore, pratica non sempre praticabile e problematica da applicare nei vecchi edifici, potrebbe diventare norma, almeno nei territori adatti e nelle nuove costruzioni.
La geotermia profonda non permette di pensare a sviluppi significativi, la sfruttiamo dove possibile da un secolo. Nemmeno la fonte idroelettrica è espandibile in quantità significative. Si potranno efficientare alcuni vecchi impianti, ma i rivoli d’acqua liberi, sempre meno caricati con regolarità da precipitazioni moderate e continue, o dallo scioglimento di depositi nevosi inesistenti o di ghiacciai in esaurimento, non sono in grado di offrire ulteriori significative quantità di energia idroelettrica.
In passato, alcuni di questi impianti sono stati progettati e gestiti male e controllati peggio, facendo finire in tasca a privati, soldi pubblici in cambio di opere cementizie, presto diventate improduttive. Altri, per mettere in rete quantità residuali di elettricità, hanno cambiato in modo definitivo il regime delle acque danneggiando le comunità locali e la situazione ambientale.
Il fotovoltaico, diffuso e massivo, è la fonte che più di tutte, in particolare in questo nostro paese, può essere proficuamente sviluppata. Abbiamo la possibilità di sfruttare l’insolazione da sud a nord del nostro territorio, collocando pannelli in innumerevoli situazioni: sui lastrici solari, sui tetti delle case e dei capannoni, sui parcheggi, sulle autostrade, sui terreni marginali e incolti, sui territori inquinati abbandonati a loro stessi, sulle discariche chiuse, sugli specchi d’acqua ferma della cave esaurite, sulle pareti verticali, persino sul terreno agricolo coltivabile (agro-fotovoltaico).
E avremmo dovuto farlo da qualche decennio. Possiamo, anzi dobbiamo, riprendere ora, senza indugi.
DIMENSIONE DELL’INTERVENTO
Di recente, con un impegno collettivo di alcuni membri Aspo, si è tentato di quantificare la dimensione complessiva che dovrebbe raggiungere un sistema fotovoltaico per sostituire, in Italia, tutte le tipologie di consumo di energia fossile e ridurre le emissioni di carbonio a zero, a partire dal 2050. Siamo giunti a calcolare la necessità di installare poco meno di un migliaio di GWp (gigawatt di picco), magari saremo stati eccessivi, ma l’ordine di grandezza non è lontano da quel livello.
Tanto per aver chiare le proporzioni dello sforzo che è richiesto, oggi a terra abbiamo, tra fotovoltaico ed eolico, in tutto 33 GWp installati.
Il nostro calcolo prevede anche di dover accumulare una parte della produzione (con sistemi che ancora non sappiamo quanto realmente percorribili, ma non se ne vedono di diversi per ora!) per coprire i lunghi periodi dell’anno (stagionali) in cui c’è poca insolazione. Sapendo bene che, con un tale quantitativo di fotovoltaico ci si troverebbe in presenza, nelle ore centrali della giornata e in certi mesi, di un picco di produzione estremamente elevato, di difficile gestione.
EOLICO: L’ALTRA FONTE IRRINUNCIABILE
Consapevoli però che un’altra fonte, anche se in misura minore, è largamente espandibile in questo nostro paese: l’eolico. Una tecnologia che presenta rendimenti molto elevati, un rapporto tra energia prodotta ed energia impiegata ben superiore a quelli dei pannelli fotovoltaici.
Non disponiamo di una ventosità potenziale così elevata da poterla paragonare a quella del sole, ma di moderni mulini a vento ne potremo installare molti, una quantità in grado di ridurre fortemente il fotovoltaico necessario a raggiungere l’obiettivo.
Come l’insolazione, anche il vento non c’è sempre, non sempre ha le caratteristiche necessarie, ma per fortuna non soffia solo d’estate e durante il giorno. C’è anche all’inizio e alla fine del giorno, di notte e in tutte le stagioni, in particolare è più abbondante in quelle in cui abbiamo meno insolazione. Quando fa freddo.
Si tratta di caratteristiche fondamentali di questa fonte, che per nessun motivo può essere sottovalutata, perché solamente una quota ridotta della sua produzione può talvolta sommarsi alle punte di produzione del fotovoltaico, difficilmente assorbibili dai consumi.
La maggioranza dei chilowattora prodotti con il vento alimenta la rete quando il fotovoltaico non produce, al mattino, alla sera, di notte e soprattutto a partire da fine autunno sino a inizio primavera, quando il fotovoltaico produce poco.
Un vantaggio fondamentale, a cui non possiamo e non dobbiamo rinunciare, perché è l’unica fonte non fossile sviluppabile di cui disponiamo per livellare, in qualche misura, il diagramma di carico dei consumi giornalieri e ridurre significativamente la carenza di elettricità rinnovabile in inverno.
L’integrazione di solare ed eolico risolve in parte il problema che obbligatoriamente dovremo superare se vogliamo veramente uscire dal fossile: quello dell’accumulo stagionale.
L’eolico non rappresenta, purtroppo, “LA SOLUZIONE” del problema, ma lo riduce fortemente. E poiché, al momento per realizzare un sufficiente accumulo stagionale di energia da fonte rinnovabile abbiamo alle viste solo “ipotesi di lavoro”, strumenti limitati, ma non altre, concrete, strade percorribili, non possiamo permetterci il lusso di non sfruttare tutti i siti potenzialmente adatti per installare torri eoliche.
Già dobbiamo fare i conti con il fatto di non essere un paese investito da venti tesi, stabili e costanti. Le coste sottovento sono spesso interessate da venti a raffica, turbolenti di intensità variabile. A parte l’Adriatico, quasi tutti i fondali dei nostri mari sprofondano presto a livelli che impediscono l’installazione offshore di praterie eoliche fissate al fondo. Siamo costretti a pensare di sfruttare i punti ventosi delle aree marine con strutture galleggianti, costose e più “problematiche”, sia in fase realizzativa che di gestione. Disponiamo di molti crinali, ma spesso risultano da tempo antropizzati, occupati da paesini, borghi, castelli, e pochi presentano una ventosità adeguata ad essere sfruttata.
Quelli che vengono individuati come adatti (o almeno dovrebbero esserlo!) trovano immediata opposizione da chi difende il paesaggio, la storia, i selvatici, gli uccelli, i boschi, il diritto di godere un tramonto. Tutte (o quasi) esigenze teoricamente condivisibili, che bloccano per sempre o ritardano per anni la collocazione di torri eoliche.
Siamo sicuri che oggi, con le complesse problematicità, ormai evidenti dal punto di vista energetico e ambientale, che già hanno determinato, e preannunciano a breve veri e propri disastri di vario tipo, possiamo permetterci tutti questi lussi esistenziali?
Le benemerite associazioni che da sempre curano gli aspetti naturalistici, paesaggistici, storici, culturali, sono sicure che una intelligente difesa del loro patrimonio non possa accettare la presenza di moderni mulini a vento, unico mezzo per ridurre la mancanza di energia, vitale nei prossimi anni per ogni livello di civile convivenza, durante lunghi periodi dell’anno?
Eppure, per decenni ci siamo adattati a misfatti ben più gravi durante la seconda metà del secolo scorso: strade, reti elettriche, briglie, impianti sciistici, zone artigianali e industriali, porticcioli, lottizzazioni selvagge hanno massacrato letteralmente il territorio nazionale. In pianura e in montagna, sui colli, al mare e attorno ai laghi. Ma, poiché lo si faceva per la crescita dell’economia, per l’occupazione, per il turismo, per aumentare la ricchezza da spendere e alimentare il consumismo, allora (in maggioranza) ci siamo girati e abbiamo guardato dall’altra parte.
Dimenticando – guarda caso – che nello stesso momento contribuivamo a far crescere i giganteschi problemi che oggi siamo chiamati ad affrontare senza più rinvii: crisi ambientale e carenza di energia e di risorse primarie.
Anche a me, che da decenni consumo scarponi a percorrere sentieri montani e alpini, in quasi tutto lo stivale, piacerebbe non vedere la mia visuale disturbata da tralicci, da boschi piantumati artificialmente, da strade che ospitano il passaggio di migliaia di auto. La mia quiete rotta dalle accelerazioni delle moto o dai rumori insopportabili dei trial. Se accetto alcuni di quei “disturbi” è perché so che sono necessari, indispensabili. Per esempio, in genere l’utilità dei tralicci in alta tensione travalica le esigenze visive.
Altri fenomeni invece potrebbero non esserci o, molto opportunamente, venire vietati.
Fastidio molto minore mi suscitano le torri eoliche che non sono invisibili, che da vicino fanno sentire i loro ciclici “whoosh”, ma conosco bene le particolari proprietà (appena descritte) di quella fonte energetica, il ruolo che essa svolge e che in futuro è chiamata a svolgere molto, molto più intensamente e massicciamente.
Allora mi chiedo: se facciamo i sofisti per le installazioni eoliche, se previlegiamo sempre l’esistente allo sviluppo di questa fonte di energia rinnovabile, quante delle bellissime e delicate visioni del mondo che crediamo di difendere potremo osservare quando la temperatura media dell’area mediterranea sarà salita di altri 2 gradi?
Quante di quelle realtà bucoliche sopravviveranno alla progressiva desertificazione del Sud e del Centro Italia?
Quante colline verdi del Mugello o del Casentino resisteranno alla progressiva carenza o ai momentanei eccessi di precipitazioni?
Quante gite fuori porta potremo fare quando la carenza di energia ne porterà i prezzi alle stelle?
Quanta legna sapremo e potremo raccogliere per riscaldarci in casa se le pompe di calore non potranno girare?
Quanta acqua girerà nelle nostre tubazioni se le pompe non la spingeranno?
Quante fabbriche dovremo costringere al razionamento energetico?
Che livelli di sicurezza potremo garantire alle attività ospedaliere?
Saremo contenti quando la pianura maremmana sarà diventata nuovamente una zona paludosa e acquitrinosa, la costa veneto-emiliana sarà arretrata di una ventina di chilometri e Venezia sarà semisommersa o circondata da una struttura artificiale difensiva?
Per fortuna emergono segni di ravvedimento. Magari non tutti i parchi presenteranno questa qualità turistica, ma qualcosa si muove.
Certo, possiamo ridurre il fabbisogno di energia. E ci mancherebbe altro! Dobbiamo ridurre i consumi in maniera pesante. Dobbiamo applicare presto ai nostri comportamenti, tutti, sociali, produttivi, di mobilità, di uso, di acquisto, pubblici, privati, il concetto di sobrietà, di parsimonia. Dar vita a una società che si accontenta del “sufficiente”, che rigetta il consumismo imperante.
Ma non basterà. L’eliminazione vera delle fonti fossili fa emergere la necessità di enormi quantitativi di energia da fonti rinnovabili, se vogliamo continuare a vivere ancora a un livello accettabile di civiltà. Se pensiamo di poter disporre di alcune delle straordinarie invenzioni che abbiamo messo a punto con la nostra intelligenza.
Altre interessanti obiezioni vengono poste allo sviluppo della fonte eolica.
- prima ricopriamo di fotovoltaico tutti i capannoni, le barriere autostradali, i parcheggi, ecc.
E perché no! Nulla lo impedisce, anzi. Dobbiamo subito innovare la legislazione al riguardo, renderla più permissiva, più semplice, per incentivarne l’utilizzo.
Ma, al momento in cui – ammesso e non concesso, perché si tratta di un processo lungo e disseminato di difficoltà! – si arrivi a ricoprire tutti quelle superfici, si pensa che il risultato a cui puntiamo sia stato raggiunto, che quella produzione sia sufficiente? Che il problema sia stato risolto? Che l’eolico non serva più?
No, assolutamente no. Saremo sicuramente ancora lontani da tutta la potenza rinnovabile necessaria a eliminare l’uso delle fonti fossili. E nella migliore delle ipotesi – ancora teorica! – avremmo creato un diagramma di produzione con punte particolarmente elevate in pieno giorno e nel periodo estivo.
E per il resto della giornata? E, soprattutto, per il resto dell’anno?
Cominciare a mettere già ora a terra quanto più eolico possibile è proprio una idea peregrina? Una pratica inutile? Da contrastare? - La fonte eolica è stata oggetto di interessi mafiosi, disonesti, molte cose sono state fatte male. Certo, non si può negare, anche se per fortuna il malaffare è stato fortemente limitato da quando la remunerazione della produzione avviene in base all’energia effettivamente prodotta. Ma, mi chiedo: è la sola attività che in Italia, e non solo in Italia, è oggetto di appetiti disonesti, o viene gestita allo scopo di far soldi o viene fatta male?
Facciamo a meno di fare anche tutte le altre che presentano questi pericoli?
Lasciamo dove sono le immondizie? Non asfaltiamo più le strade? Non distribuiamo le licenze di costruzione o quelle produttive? Non facciamo più ospedali? Non organizziamo più le mense scolastiche? Non assistiamo più i migranti? Ecc. ecc. ecc.
Continuo sino a riempire la pagina?
L’eolico è una fonte di cui non possiamo privarci, non può sottostare a tutta una serie di blocchi che ne impediscono lo sviluppo e va installato semplicemente – salvo condizioni particolarissime! – se e dove la sua collocazione rispetti questi due criteri essenziali:
- la ventosità del luogo deve essere tale da garantire che nei 20-25 anni della sua esistenza (prima di schiattare!) produca molta più energia di quella che è servita a montarlo e servirà per smontarlo. Magari investendo ed esaurendo per primi tutti i bassi fondali marini sufficientemente ventosi.
- dev’essere inserito in una rete in grado di accettare e sfruttare permanentemente sino all’ultimo kWh che saprà produrre. (aspetto da garantire anche al fotovoltaico).
In linea di principio questo è il criterio corretto da applicare. In effetti, potrebbe essere un problema di difficile soluzione, risolvibile solo con enormi accumuli (?) o con una rete fortemente interconnessa a livello internazionale, a coprire fusi orari o latitudini diverse. I picchi di una realtà in quel caso verrebbero assorbiti dai consumi di un’altra, lontana migliaia di chilometri o interessata da orari diversi, e viceversa.
Per una più facile gestione, potrebbe risultare meno problematico non immettere in rete almeno parte dei picchi, accettando la perdita di efficienza del sistema. Questo comporterebbe la necessità di installare un quantitativo maggiore di impianti rinnovabili. Rendendo ancora più urgente installarne tanti e subito.
Se vogliamo tentare di salvarci dobbiamo sviluppare le energie rinnovabili quanto più velocemente e massicciamente possibile, pur rinunciando a qualcosa. Certo il meno possibile, teniamoci care le cose che ci piacciono, ma facciamo tutto quanto è nelle nostre possibilità per mantenerne almeno una parte a disposizione anche delle generazioni future.