Il metano dà una mano al clima?

Di Dario Faccini

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Particolare di un impianto di compressione di metano per autotrazione con in evidenza la colonnina di sfiato dell’essiccatore (dryer). Da essa avviene il rilascio periodico di piccole quantità di metano in atmosfera.

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E’ di questi giorni la notizia che in Italia è stato inaugurato il millesimo distributore di metano per auto. Un record in Europa, cui corrisponde un parco circolante di 760.000 vetture a gas e una leadership industriale che non sente crisi e continua ad acquisire mercati esteri.

Il metano è, a parità di energia, il combustibile per autotrazione meno inquinante e meno costoso, questo sia per il minor costo della materia prima, sia per il minor carico fiscale. E’ normale quindi che anche nel 2013 il numero di auto a metano sia aumentato.

Tutto bene quindi? E’ allora auspicabile un boom mondiale di auto a metano perché, come ha affermato il presidente di federmetano: “Il metano è la fonte più compatibile in prospettiva futura“?

Non proprio.

Contrariamente a ciò che comunemente si crede, l’utilizzo del metano per autotrazione può, nelle condizioni attuali, aggravare il cambiamento climatico.

Quando viene bruciato il metano produce una quantità di biossido di carbonio (CO2) ridotta rispetto agli altri combustibili fossili e questo semplice fatto ha portato a credere che nella transizione verso un’economia più sostenibile, fosse auspicabile un ricorso massiccio al gas naturale[1]. Purtroppo però, il CO2 non è l’unico gas ad effetto serra. Proprio il metano ha una capacità d’intrappolare il calore (radiazione infrarossa) svariate volte superiore a quella del CO2, pur avendo un tempo di permanenza in atmosfera più breve. Tale capacità, chiamata Global Warming Potential(GWP), è stata di recente ricalcolata in 34 volte quella del CO2 su un arco temporale di 100 anni, un incremento di quasi il 50% rispetto al valore precedente che era di sole 23 volte. [2]

Se tutto il metano prodotto e infine utilizzato in un veicolo venisse bruciato e trasformato in CO2(ed acqua) si avrebbe un effetto positivo per il clima, ma nella realtà, le perdite durante l’estrazione, il trasporto, la distribuzione e lo stoccaggio a bordo, comportano le liberazione di una piccola percentuale di metano che contribuisce direttamente al cambiamento climatico. I benefici climatici dell’uso del metano dipendono quindi dai tassi di perdita all’interno dell’intera filiera del gas naturale, valutati “dal pozzo alla ruota”.

In uno studio di riferimento del 2012, per gli Stati Uniti, gli autori affermano che:

Abbiamo scoperto che un passaggio ai veicoli alimentati a gas naturale compresso conduce ad un maggiore forcing radiativo del clima rispettivamente per 80 anni, nel caso di sostituzione di veicoli [leggeri] a benzina, e 280 anni, nel caso di sostituzione di veicoli [pesanti] diesel, prima di iniziare a produrre benefici.[3]

Nel loro studio, gli autori hanno utilizzato una stima delle perdite di gas naturale dai pozzi di estrazione sino alla combustione a bordo dei veicoli pari al 3%[4]. Questo valore dovrebbe essere ridotto almeno all’1,6% per ottenere un beneficio climatico immediato dal passaggio al metano per autotrazione. Si noti come al momento dello studio, il GWP del metano non fosse ancora stato rivisto al rialzo e quindi le conclusioni relative siano oggi alquanto ottimistiche.

Un’altra ricerca[5], pubblicata proprio questo mese su Science, ha svolto una revisione critica di 20 anni di studi sulle emissioni di metano negli Stati Uniti e nel Canada. Le misure in atmosfera dimostrano che le emissioni di metano superano, almeno del 50%, le stime ufficiali dell’EPA (l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente). Le motivazioni per questa discrepanza sono varie [6]. Per quanto riguarda la mobilità a metano sono confermate le conclusioni dello studio precedente:

…i benefici climatici derivanti dalla sostituzione del combustibile per autotrazione è incerta (nel caso di veicoli leggeri a benzina) o improbabile (veicoli pesanti a diesel).” [7]

Tutto negativo quindi? No, ci sono anche notizie positive.

Innanzitutto lo studio su Science si pronuncia anche sulla questione della convenienza climatica nel sostituire le centrali elettriche a carbone con quelle a gas. Sembra che in questo caso il metano riesca a fornire comunque un qualche beneficio in virtù del fatto che il carbone emette quantità di CO2, per unità di energia elettrica prodotta, molto elevate (e inoltre emette metano durante l’estrazione in miniera).

Un’altra notizia positiva deriva dal fatto che ci sono indizi che suggeriscono come buona parte del contributo del fughe di metano in atmosfera derivi da poche sorgenti “superemissive” localizzate presso i pozzi, gli impianti di processamento del gas, le stazioni di compressione e il sistema distributivo. L’eliminazione di queste sorgenti non comporta ostacoli tecnico-economici di rilievo, una volta che venga emanata una normativa e un sistema di controllo e monitoraggio adeguati.

La premessa fondamentale per uno sfruttamento sostenibile del metano come combustibile per autotrazione passa quindi obbligatoriamente dall’emanazione di procedure e regolamenti in grado di assicurare una riduzione estrema delle perdite attraverso le infrastrutture di gas e a bordo dei veicoli. Nel caso dell’Europa ciò dovrebbe comportare un profondo impegno sia a livello di politica interna che estera, considerato che la maggior parte del gas naturale è d’importazione e quindi proviene da infrastrutture extracomunitarie.

Dispiace dirlo, ma attualmente queste premesse sono per ora assenti e pare poco probabile che possano essere soddisfatte nel prossimo futuro.

Note

[1] Il gas naturale è una miscela di idrocarburi leggeri e gassosi a temperatura ambiente, in cui il metano è il composto principale. Per semplicità in questa trattazione gas naturale e metano sono usati come sinonimi.

[2] IPCC, Working Group 1, AR5, tabella 8.7. Il valore di GWP del metano su un arco di 20 anni è ancora più grande, ed è paria a circa 86 volte quella del CO2.

[3] Come già rilevato, il metano ha un “effetto serra” più potente del CO2, con una vita in atmosfera più breve. Su un arco temporale di 100 anni, la maggior parte dell’effetto di riscaldamento è quindi concentrato nelle prime decadi, per poi scomparire progressivamente. In base allora alle quantità relative in gioco, liberare in atmosfera metano al posto di CO2, può produrre un “costo” climatico nell’immediato, che va diminuendo di anno in anno sino a tramutarsi in un “beneficio”.

[4] In particolare, 2,4% perso tra il pozzo e il sistema di distribuzione locale, mentre il restante 0,6% è attribuito alle emissioni durante il rifornimento e alle perdite del veicolo.

[5] Lo studio è disponibile solo a pagamento. E’ possibile trovare una sintesi per il pubblico qui.

[6] Tra i possibili motivi:

  • La mancanza di rappresentatività delle assunzioni relative alle tecnologie e alle prassi impiegate, come l’avvento in tempi recenti delle tecniche di fratturazione idraulica per lo sfruttamento del shale gas.
  • La difficoltà e il costo nell’effettuare misure e campionamenti sugli impianti, e il sospetto che i valori ottenuti siano un po’ ottimistici visto che è necessaria la cooperazione delle imprese proprietarie. Su 30 richieste di sopralluogo dell’EPA, solo 6 compagnie hanno concesso il permesso.
  • L’assenza di alcune fonti naturali, come la diffusione naturale di gas dal suolo (geological seeps)
  • L’assenza di alcune fonti antropiche, come i pozzi di gas e di petrolio abbandonati.

[7] Esistono comunque grandi incertezze in queste stime. In particolare gli autori evidenziano che una parte delle emissioni di metano derivano dal settore petrolifero ed è difficile attribuire e separare i singoli contributi, per cui in alcuni studi vengono attribuiti in toto al settore del gas naturale.