BES Italia: Vacilla il regno del PIL?

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Il 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciò presso l’Università del Kansas il suo famoso discorso che criticava la validità del Pil come indicatore per misurare il benessere della società. Un discorso durissimo.

Di Mauro Icardi

Eccone un estratto:

“ Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.

Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, ne i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.

Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.

Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.”

Ed è di questi giorni la notizia che l’Università politecnica delle Marche sta per pubblicare uno studio nel quale si mostra la divergenza tra la crescita del Pil ed il livello di benessere. E quindi ha rielaborato la storia economica dell’Italia dal 1861 al 2011 utilizzando la metodologia ufficiale del BES (benessere equo e sostenibile) sviluppata dall’Istat e che è in uso dal 2010.

I risultati di queste elaborazioni mostrano che a partire dalla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, fino agli anni 60 i due indicatori marcino di pari passo, come si vede in questo grafico.

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Poi cambia qualcosa, e a partire dai primissimi anni 80, anni che molti ricordano ancora come gli anni dell’edonismo, gli anni della “Milano da bere”, della moda delle modelle e della pubblicità, qualcosa inizia a cambiare. Il Pil continua a crescere, nonostante qualche fibrillazione, una crisi del petrolio nel 1979 che ha lasciato meno traccia nell’immaginario collettivo di quella del 1973, quando in Italia e in altri paesi si vive il periodo dell’austerity e le città senza auto circolanti la domenica sembrano il segno di un ritorno a tempi difficili. Tempi che soprattutto i giovani non avevano vissuto. Nonostante tutto questo il Pil cresce. All’inizio degli anni 80 si stabilizza lo scenario mediorientale, ed i giacimenti di petrolio scoperti in territori di nazioni non appartenenti all’Opec come quelli del mare del nord e dell’Alaska segnano la fine di un epoca. Il campanello di allarme che inizia a suonare nel 1973 negli anni 80 tace. Ma da quel momento sembra scomparire anche la felicità. L’indice Bes è basso. Inizia l’epoca in cui il possesso non sembra più dare la felicità. Il Pil cresce, ma la gente si sente meno sicura, insoddisfatta.

L’indicatore Pil e quello Bes viaggiano appaiati in un’Italia che cresce faticosamente negli anni della proclamazione del Regno. Un’Italia contadina. Un’Italia che vede nascere le prime grandi industrie a fine 800, ma che quando comincia ad avere una se pur ancor giovane struttura industriale, a sentire le sirene della modernità nei primi anni del 900 quelli del decennio felice della belle epoque si trova catapultata in una guerra mondiale. Dopo la guerra sarà la dittatura ventennale a catapultarla in un’ altro conflitto. Un Italia che combatte una guerra coloniale, appoggia una fazione in una guerra civile in un altro paese europeo. Che si modernizza dovendo però accettare il peso e l’oppressione di una dittatura. Rinasce dopo le distruzioni del secondo conflitto mondiale, dopo i bombardamenti e la guerra civile e incomincia a crescere velocemente,vorticosamente. Fino vivere il miracolo economico, il boom. Nel 1962 si arriva all’apice. L’anno ricordato dagli storici come il migliore in assoluto per l’economia italiana tra i 150 che sono oggetto di questo studio. Quinto anno dell’era del miracolo economico fa registrare un incremento del pil pari all’8,6% rispetto al 1961, anno del centenario dell’unità italiana.

Da quell’anno in poi, il Pil continuerà faticosamente a crescere nonostante il miracolo italiano lentamente si sfilacci, si consumi. Dapprima impercettibilmente. Nel 1964 si comincerà a parlare di congiuntura. Arriverà il 1968 anno di cambiamenti. Poi gli anni 70 anni complicati e violenti. Gli anni delle stragi, della lotta politica cruenta. Gli anni del terrorismo. Gli anni che vedranno la nascita del Club di Roma. Il decennio nel quale in Italia viene pubblicato “I limiti dello sviluppo” traduzione approssimativa di “Limits to Growth”. Si riflette sul concetto di crescita. I problemi in quel periodo sono ormai evidenti. Sono gli anni in cui i fiumi sono coperti da nuvole di schiuma, gli anni dell’incidente di Seveso. Eppure se guardiamo il grafico Pil e Bes mostrano ancora di viaggiare appaiati.

In poco più di un secolo di vita l’Italia unita attraversa queste fasi storiche mostrando comunque che la crescita misurata valutando la fornitura di prodotti e servizi va di pari passo con il miglioramento del benessere sociale, nonostante esistessero ampie fasce di popolazione che ne restavano escluse.

Ma negli anni 80 tutto cambia. I due indicatori cominciano ad allontanarsi sempre di più uno dall’altro. L’Italia si trasforma. Il deterioramento delle condizioni ambientali accelera, a partire dal disastro di Chernobyl che è un sorta di triste anteprima del deterioramento ambientale dell’Italia e dell’intero pianeta. E si cominciano a deteriorare, a sgretolare pian piano le condizioni di lavoro, di distribuzione del reddito. Comincia l’era delle privatizzazioni e delle politiche neoliberiste, viste come l’unica via per perseguire il nuovo credo postmoderno, quello della crescita. Che prosegue sempre più faticosamente. Fino a mostrare negli ultimi cinque anni che l’incremento del Pil non produce più il miglioramento delle condizioni di vita e di salute e di quelle igieniche. Anzi la sensazione è quella di sapere che si vive più a lungo, ma quasi con la sensazione ineluttabile di essere meno sani. Quasi rassegnati ad una cronicizzazione di alcune patologie, quali cancro, diabete, obesità. Con sempre più persone che sperimentano un’insoddisfazione diffusa. Con il consumo di suolo a livelli allarmanti. Così come allarmante e molto diffuso è il consumo di cocaina, i cui metaboliti che i depuratori faticano a degradare finiscono direttamente nei fiumi. Con il paesaggio delle città ormai uniformato e costellato di “non luoghi” come li definisce Marc Augè. Centri commerciali e capannoni vuoti. Fino a far percepire molti che la ricchezza che esiste ed è certificata nei numeri e nelle statistiche, è una ricchezza sperequata e mal distribuita. E fino a far intuire a molti che in fin dei conti possesso non significa felicità. Molti altri rimangono invece affezionati e fermi agli anni del boom o degli anni 80 che ricordano come gli anni dell’eldorado, gli anni spensierati, gli anni felici. Mentre invece rappresentano l’inizio di un declino lento ma inesorabile.