Petrolio: oggi il sollievo, domani l’inferno

prezzo alla pompa

Benzina e Gasolio a prezzi stracciati [1]. Siamo tutti contenti.

E invece dovremmo prepararci al peggio.

Di Dario Faccini

Era l’agosto 2012. La benzina costava 1,98€/l in alcune località. Oggi è possibile trovarla attorno a 1,37€/l, un prezzo destinato quasi certamente a scendere ancora.

Perché? Perché il prezzo del petrolio è crollato. Proprio in questi giorni sia il greggio BRENT del Mar del Nord, sia il greggio WTI americano sono scesi sotto la soglia psicologica dei 30$/barile, un livello che non si vedeva da 12 anni. Non male come caduta. Nell’estate 2014 il prezzo era ancora sui 100$/barile.

La vulgata mediatica racconta che la ritirata del prezzo del greggio ha un solo motivo: da due anni la produzione ha superato l’offerta. Il che è vero. Peccato che non racconti come questo sia avvenuto, e quello che purtroppo poi accadrà.

omr 12-2015 previsione domanda offerta

Figura 1: variazione scorte (in celeste, asse destro) e sbilanciamento domanda-offerta (giallo, verde, asso sinistro) per il greggio mondiale (All Liquids). Fonte: IEA Oil Market Report 11/12/2015.

 

La buona notizia nasce da una cattiva

Ricordiamo allora come siamo giunti fin qui.

Dal 2004 in poi in campo petrolifero si assiste ad una crescente difficoltà a rincorrere la domanda mettendo in produzione la capacità estrattiva necessaria. Il problema principale per le compagnie petrolifere è la moltiplicazione dei costi degli investimenti necessari per estrarre un barile: i nuovi giacimenti messi in produzione sono spesso più piccoli, in zone disagiate per infrastrutture o ambiente (ed es. oceano profondo, zone artiche) e più in profondità. Questa situazione si somma alla domanda crescente, all’esaurimento dei grandi giacimenti petroliferi storici, e al ritardo circa decennale (tipico dell’industria petrolifera tradizionale) tra l’investimento in un giacimento e l’inizio del suo sfruttamento. Il risultato è un periodo di quasi dieci anni (2005-2014) di alti prezzi del barile di greggio, spesso superiori ai 100$. L’alto prezzo mantenuto per un periodo così lungo si traduce infine negli ultimi due anni in un’offerta superiore alla domanda.

L’attuale basso prezzo dei carburanti ce lo siamo quindi in realtà “guadagnato”, pagando per molti anni un petrolio ben più caro del prezzo storico.

Le buone notizie finiscono qui

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Figura 2: Quota Opec del mercato petrolifero. Fonte: IEA Oil Market Report 11/12/2015.

 

A volerla dire tutta, se adesso il petrolio è così basso, è anche perché qualche produttore vuole ammazzare la concorrenza. Tutto ha inizio a novembre 2014 quando alcuni paesi OPEC capeggiati dall’Arabia Saudita si stancano di vedersi soffiare quote di mercato. Decidono allora di abdicare ufficialmente dalla funzione del cartello e di non ridurre la quota ufficiale di produzione di 30MB/d.  Anzi, proprio l’Arabia Saudita aumenta la propria del 10%, portandola al suo record di sempre di 10,5MB/d nel giugno 2015 [2]. L’idea è quindi semplice: affondare la produzione petrolifera concorrente, più cara (e magari creare difficoltà a qualche antagonista geopolitico). La manovra saudita può contare sull’impossibilità degli altri membri OPEC di attuare un gioco diverso da quello del pollo. La produzione reale OPEC passa quindi dopo un anno a 31,7MB/d (+5,6% rispetto il tetto ufficiale del 2014).

Sarà pure merito del fracking se la produzione mondiale è aumentata, ma è di fatto l’OPEC che inonda il mercato.

Secondo molti analisti, il principale nemico non dichiarato sono le aziende USA attive nell’estrazione del tight oil mediante il fracking. Esse sono responsabili dell’improvvisa impennata della produzione petrolifera mondiale negli ultimi quattro anni. In realtà il fracking, per tutto il 2015, tiene abbastanza bene e comunque rappresenta ancora solo una frazione della produzione mondiale. La maggior parte del petrolio consumato nel mondo è ancora quello chiamato “convenzionale” ed è su questo che si abbattono le conseguenze peggiori: progetti tra i 250 e i 380 miliardi di dollari vengono ritardati a causa dei tagli agli investimenti che le compagnie petrolifere sono costrette a fare per sostenere i loro bilanci e tagli ulteriori sono previsti per il 2016. E’ dal 1986 che non capitava per due anni consecutivi.

Il problema taciuto del petrolio convenzionale è che declina del 5,1% ogni anno a causa dell’esaurimento naturale dei giacimenti. Quindi i tagli agli investimenti petroliferi di oggi, rappresentano petrolio che ci mancherà tra qualche anno, perché nel frattempo i tassi di declino dei giacimenti in produzione aumentano in assenza di investimenti adeguati. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha già lanciato l’allarme.

what the frack?

Nel frattempo il 2016 dovrebbe essere l’anno del collasso del fracking petrolifero negli USA e non solo per l’ulteriore crollo dei prezzi del greggio nelle ultime settimane.

Innanzitutto, quello che i “fracker” potevano fare per sopravvivere, ormai lo hanno già fatto. In secondo luogo perché ci sono due notizie molto, molto cattive.

Nel 2009 le compagnie petrolifere americane spingono la SEC (l’organismo di controllo delle borsa) ad accettare una regola contabile che permetta di includere nelle riserve aziendali anche il greggio derivante da pozzi non ancora perforati. Tali pozzi devono però essere perforati entro 5 anni e devono essere profittevoli ad un prezzo fissato da una formula (per il 2015 erano di ben 95$/barile). Nei prossimi mesi, quando avverrà l’aggiornamento di queste riserve, spariranno così miliardi di barili di petrolio dai bilanci delle imprese del fracking.

Questo si andrà a sommare ad una situazione di enorme indebitamento del settore che già ora impedisce qualsiasi guadagno. Si legga in proposito l’analisi statistica eseguita da Ron Patterson su quasi 9000 pozzi nella formazione Bakken in Nord Dakota: neppure il 10% dei pozzi più produttivi perforati dal 2007 al 2014 riuscirebbe a fornire adesso un flusso di cassa positivo in un qualsiasi istante della vita del pozzo. Il prezzo è troppo stracciato (Patterson utilizza addirittura ancora i 60$/barile di alcuni mesi fa) per riuscire a ripagare un debito che ormai ha tassi di interesse così elevati da imporre tassi di sconto attorno al 10% all’anno.

discounted cash flow
Figura 3: Flusso di cassa scontato anno per anno che deriverebbe mettendo in produzione oggi varie categorie di pozzi perforati tra il 2007 e il 2014  nella formazione a shale del Bakken. Le categorie rappresentano l’aggregazione dei pozzi in base alla produttività che hanno effettivamente mostrato (P10=produttivà massima, P90=minima). Fonte: analisi di Ron Patterson su peakoilbarrel.

 

La produzione di tight oil da fracking è quindi destinata ad accelerare la sua discesa: negli ultimi 12 mesi il calo petrolifero del fracking si attesta sui 600kB/d, circa il -0,5% della produzione mondiale; sia a gennaio che a febbraio avrà un tasso di declino attorno al 2,3%/mese, questo senza tener conto degli effetti dirompenti della revisione dei bilanci e del petrolio in area 20$/barile.

OPS, UN PICCO…

Con queste premesse, il modello economico della domanda e dell’offerta ci insegna che dovremmo essere entrati in un periodo che favorisca la crescita della prima e la distruzione della seconda.

Paradossalmente lato domanda ci sono invece segnali di una possibile crisi proveniente dalla Cina (che non si sono ancora tradotti in un calo degli acquisti petroliferi, al massimo per ora è ipotizzabile un rallentamento della loro crescita). Questo ha dato la spinta alla discesa del prezzo del barile delle ultime settimane. Prezzi così bassi del barile sono comunque uno stimolo inaspettato alle economie mondiali, e sarebbe la prima volta che una crisi avviene con un prezzo dell’energia così basso.

Lato offerta invece potremmo essere entrati già da luglio 2015 in un periodo di calo. Lo segnala sempre il buon Ron Patterson con la figura 4.

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Figura 4: Produzione mondiale di greggio e condensati. Fonte: analisi di Ron Patterson su oilprice.

 

E’ ancora presto per trarre conclusioni, il massimo di luglio è all’interno del terzo trimestre (confrontare con figura 1) che coincide con quello di maggior domanda a livello mondiale. Dovremo aspettare i dati dell’estate 2016 per sbilanciarci.

…o “il” picco?

Ritorniamo infine alla recente discesa del prezzo del greggio in area 20$. Perché questa sia un evento dirompente lo si legge in figura 5, dove sono riportati i costi operativi in $ al barile, per tipo di produzione e paese, cioé il prezzo minimo del barile necessario per mantenere conveniente la produzione dai pozzi già perforati, collegati all’infrastruttura di trasporto e in produzione.

cash cost citigrups

Figura 5: Costi operativi petroliferi, per tipologia di produzione e paese. Fonte: Citi Research, Global Oil and Gas-Volatile Times Ahead, maggio 2015.

 

Con un prezzo del barile sotto i 25$, una parte della produzione petrolifera sparirebbe velocemente dai mercati, perché il costo di tenere aperti gli impianti di estrazione marginali sarebbe maggiore della loro resa.

Questo è un fatto nuovo. Storicamente i costi operativi sono sempre stati contenuti, la maggior parte dei costi erano negli investimenti in nuova capacità produttiva. Ma con l’aumento dei costi operativi, se la discesa del prezzo del barile continuasse e si prolungasse abbastanza, potremmo assistere ad un fenomeno nuovo: la chiusura di impianti di estrazione già in produzione.

Cosa aspettarsi

Che la produzione mondiale di petrolio debba iniziare a scendere dovrebbe essere quindi chiaro a tutti. Un po’ meno chiaro sembra essere la constatazione che questa discesa non potrà fermarsi molto presto, ed ogni mese passato con un prezzo così basso distrugge una parte via via crescente dell’offerta petrolifera dei prossimi anni. Non solo, ogni ripresa della produzione petrolifera dovrà poi affrontare la quota mancante di greggio dovuta all’accelerazione dei tassi di declino dei giacimenti esistenti. Quale compagnia si getterà nell’avventura collettiva di mettere in produzione le nuove sei Arabie Saudite necessarie da qui al 2030 per compensare questo declino? (IEA 2008, pag 5)

Serviranno ulteriori anni e prezzi molti alti per rivedere gli effetti del nuovo ciclo di investimenti. E non c’è nessuna garanzia che questo basti per evitare che questo picco di produzione, rimanga IL PICCO.

Una ripresa relativamente rapida della produzione da fracking sarà forse possibile e gli stoccaggi petroliferi ai massimi livelli forniranno un pò di tempo aggiuntivo, ma sarà solo un prezzo alto del barile che potrà rimettere in moto il settore petrolifero.

Se c’è una cosa su cui allora si può scommettere a occhi chiusi, è che il prossimo giro di giostra sarà molto più caro del precedente.

E c’è un rischio sempre più grande che la giostra si rompa per sempre.

Note

[1] Fonte, pagina web http://www2.prezzibenzina.it/ visitata il 10/1/2015. La foto in copertina è un fotomontaggio che riassume i due prezzi minimi segnalati dal sito in oggetto per una stazione Q8 di Livigno (SO).

[2] Fonte, Joint Organizations Data Initative.

15 risposte a “Petrolio: oggi il sollievo, domani l’inferno

  1. Segnalo un piccolo typo:
    “per riuscire a ripagare un debito che ha ormai ha tassi”

    In generale, si dice(va) che il prezzo del petrolio non segue le leggi della domanda e dell’offerta – sarà anche vero, ma non potrà non seguire quella dell’esaurirsi delle fonti accessibili.

  2. Articolo interessante… limitato giustamente al petrolio.
    Questo mi fa pensare, o dovrebbe far pensare, che dietro a tutto ci sono ragionamenti molto sottili o, per lo meno non campati in aria.
    Il petrolio secondo il mio punto di vista, visto l’uso che sino ad ora se ne è fatto, ha a che vedere con la creazione dei petrodollari.
    Argomento che dovrebbe trovare diciamo accoglienza nel ragionamento generale o per lo meno accennato.
    Si certamente l’intenzione di affondare l’altro petrolio, con la differenza di costo di estrazione ci sta e alla grande… non sapevo dei costi di estrazione dei vari stati e questo mi sarà utile in seguito per capire, chi avrà nella scala temporale i maggiori problemi.
    Ma questa è solamente una variabile, fra le molteplici. Vorrei segnalare che l’utilizzo del petrolio è incominciato tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento, con le prime scoperte.
    Questo ci dovrebbe far comprendere che la ricerca, quella vera, non si è sicuramente fermata a tali anni, anche se sembra che il tutto si sia di fatto quasi cristallizzato a quel tempo.
    Basti ricordare Tesla e le sue scoperte dei primi del 900, che come ben sappiamo sono state archiviate.
    Ora, come dice il detto, morto il papa se ne fa un altro e, questo mi porta a pensare che sicuramente hanno altre fonti da presentare in sostituzione del petrolio, anzi ci diranno che è stata fatta una “NUOVA” scoperta, mentre di queste scoperte che ne sono a bizzeffe.
    Che gli Usa abbiano problemi in tal senso, non mi stupisce, del resto devono continuare a far credere al mondo che dobbiamo andare avanti in quanto non ci sono altre alternative…LEGGI PETRODOLLARI.
    Mah vedremo.

    • “anzi ci diranno che è stata fatta una “NUOVA” scoperta, mentre di queste scoperte che ne sono a bizzeffe”

      Sento come l’orticaria che mi sale.
      Aspetto fuducioso l’elenco delle scoperte mentre faccio la punta ai paletti in frassino.

    • Orazio Covolo, sai a quante persone piacerebbe credere ad un complotto ordito da metafisici allo scopo di occultare risolutive scoperte per produrre energia rinnovabile, sicura e per essi molto proficua.E quante ci credono, purtroppo per tutti.
      Io preferisco credere ai fisici che ancora non sanno come imbottigliare il plasma a cento milioni di gradi, onde cavarne i chilowattora che muovono tanti nostri marchingegni.
      E anche se lo dovessero scoprire, potrebbe essere troppo tardi.
      Visto come la natura umana fa andare generalmente le cose quando la penuria avanza insieme alla menzogna sull’abbondanza.
      Poi, il petrolio, proprio come ultima cosa ha a che fare con i petrodollari.
      Gli inchiostri per la zecca derivano anch’essi dal petrolio, lo sappiamo.
      Piuttosto, anche se è vero che che la petrofinanza sta forzando la finanza vera e propria verso l’orlo del dirupo, in special modo quello soprannominato da Ugo Bardi “Dirupo di Seneca” può anche succedere che avvenga un miracolo.
      Un miracolo sovrumano, nel senso che miliardi di persone trovino il modo di riunire tanti piccoli gesti di coraggio in una comune azione di risanamento e rinsavimento.
      Magari aiutati dalla consapevolezza che una guerra planetaria porterebbe solo ad una sconfitta di Pirro.
      Sconfitta, perché si sa, é più famosa la sua vittoria.
      Quindi, immaginiamo quanto pessima sarebbe la sconfitta.

      Marco Sclarandis

  3. Ben venga una futura carenza di petrolio, e prezzi molto più alti degli attuali, se serve a dare lo stimolo decisivo alla transizione verso le rinnovabili senza portare al collasso dell’economia globale. Ma la domanda è: questo scenario, oltre ad essere auspicabile, è anche realmente ipotizzabile, considerando che la transizione richiede comunque petrolio?

  4. Ciao Dario, grazie per l’articolo esaustivo come sempre. Leggendo (indirettamente) fonti più istituzionali si vede come il basso prezzo del petrolio sia preoccupazione per alcuni che si mischia con l’ottimismo di altri, tipo il Financial Time. Ma nessuna fonte va oltre analisi di breve respiro, non penso per malafede ma per forma mentis. L’Economist parla di petrolio a 20$ prima della risalita, da qualche parte ho letto di una richiesta di revione (chiesta da Obama?) delle forme di investimento ad alto rischio che stanno anche dietro al fracking (non so se è la stessa revisione cui accenni tu, non capisco nulla di queste cose). Ho tre domande: 1) non è che stiamo vendendo la pelle del fracking prima d’averlo ucciso? Sono anni che sento questa cosa ma mi pare siano resilienti oltre misura considerati i prezzi attuali? 2)Quanto conta nell’attuale discesa la scommessa in tal senso che stanno facendo (ho letto) gli speculatori? 3)Il ritorno sul mercato dell’Iran non potrebbe cambiare qualcosa nel breve periodo?
    Io ammetto che, a sentiment, credo che l’attuale basso prezzo ed il futuro rimbalzo, favoriranno gli investimenti in rinnovabil. Ciao e grazie.

    • 1) Sono “stati” resilienti e in parte era prevedibile, infatti ASPO non ha battuto molto su questo punto. Ora però è la dura economia dei bilanci aziendali che chiede la resa dei conti. Un conto era il petrolio a 50$, un conto è quello a 30$. Poi il fracking non sparirà, ci saranno acquisizioni e fusioni, ma prenderà una bella batosta.
      2) Gli speculatori contano sempre, ma i fondamentali nel medio termine vince e la geologia detta le regole del gioco. Direi che gli speculatori non contano oltre i 3-4 mesi.
      3) E’ già conteggiato nel grafico in figura 1 della IEA.

  5. Spero di sbagliare:
    Con l’attuale crollo del costo dell’energia perdono appetibilità le rinnovabili.
    Quando ci sarà il rimbalzo potremmo trovarci in una situazione talmente disperata da non poter permetterci investimenti di nessun tipo.

  6. “Now we have no such assurance. The era of procrastination, of half-measures, of soothing and baffling expedients, of delays,
    is coming to its close. In its place we are entering a period of consequences.”

    Winston Churchill.Dal discorso di Winston Churchill all’ House of Commons.12 November 1936

    “L’era dei rinvii, delle mezze misure, degli espedienti ingannevolmente consolatori, dei ritardi è da considerarsi chiusa.
    Ora ha inizio l’era delle (azioni che producono) conseguenze ” .

    Riportato e tradotto in:
    http://ugobardi.blogspot.it/2013/04/lera-delle-conseguenze.html

    Winston Churchill.Dal discorso di Winston Churchill all’ House of Commons.12 November 1936

    Una storia che vuole farsi Storia di nuovo.
    Marco Sclarandis

  7. Segnalo da un commento su Quora un parere diametralmente opposto a quello di questo articolo Aspo Italia: prezzi bassi e produzione facilmente interrompibile ed altrettanto facilmente re-iniziabile del petrolio Shale secondo questo autore (Jeff Ronne), addirittura stabilizzerebbero il mercato.

    Oil fell to $60 then $50 then $40 and then $30.
    This is not new and not surprising news to anyone following this slow motion 18 month collapsing trainwreck .
    The bottom for oil is likely in the 20’s, solidly above $20 and probably selling out in 30’s in short to medium term. Climbing above $40 might be a long and painful process. On an inflation adjusted basis $60 may not be seen for decades to come.
    Now for the impact and the future projections. What is happening is the rise of USA shale oil fracking has permanently changed the global oil production market. This means a permanent long lasting economic transfer of wealth from oil producing nations to oil consuming nations. In the end cheaper oil prices will bring more stability to all nations as oil production is not an economic value add. Produced oil is a raw material far lass valuable than finished economic goods and services.
    One final note is that cheaper oil prices may likely stabilize the Middle East as oil revenue is the lifeblood of war and conflict in the Middle East. Simply stated if the Middle East oil reserves are not longer worth fighting and dying for then peace and stability has a far better chance. As revenues decline so will the purchase of weapons which fuel conflict. If the price of oil went to zero all of mankind including the Middle East would benefit enormously.
    These USA shale oil wells are cheap, predictable and can be turned off and on like a light switch. When oil prices rise the oil wells turn on, the future production is sold on the futures market and rock solid no risk profit is locked in. Oil price volatility in the upward direction will likely be a distant past memory forever.
    These USA shale oil wells are cheap, predictable and can be turned off and on like a light switch. When oil prices rise the oil wells turn on, the future production is sold on the futures market and rock solid no risk profit is locked in. Oil price volatility in the upward direction will likely be a distant past memory forever.
    The response from OPEC has been predictable, calculated and rational. Damage control to try to preserve as much of the OPEC monopoly power as possible.
    The Saudis are going insure that this low oil price drop lasts for quite sometime probably for several years to come. The Saudis are going to attempt to and probably bankrupt many USA shale producers and their investors. USA shale production is the threat that the Saudis are trying to contain.
    The USA shale producers rely on leverage, borrowed money from the banks, seed capital from investors and moderate to high oil prices to stay solvent.
    The Saudi induced price drop will last long enough to exhaust oil pricing hedges, last long enough to cause banks to tighten credit, last long enough to cause investors to seek greener pastures and last long enough to reverse the growth of USA shale oil production. The price drop will last until it gets these needed results. This will probably take 6 months to upwards of two years depending on the oil marketplace reaction. Most USA shale oil production is hedged 6 months out dropping steadily to very low levels after 1 year. As these hedges expire there is no place to hide for the higher cost USA shale oil producers who will scale back or shutdown operations.
    After oil prices rise again, the banks and investors will likely not fund USA shale producers again because they know if they do, the Saudis will screw them again. It is not a question of if but when.
    The Saudis can not absolutely control the long term price of oil but they can inject oil price volatility into the market which impacts the risk analysis and increases the margin of safety demanded by investors to fund new oil exploration anywhere. For instance now some oil futures contracts are selling in the $30 range which would have been unthinkable 1 year ago. This is because the implied long-term oil price volatility has increased. The Saudis are just trying to contain the growing global production of oil as best they can. This growing global production is negatively impacting future Saudi wealth.
    This is how business and economics works in the real world. So here we are at the present, a guaranteed glut of oil supply courtesy of the Saudis and OPEC for the near term future. So what is the likely oil price going forward to achieve the required Saudis goals ?
    The most important fact is the cost of Saudi production is between $10 and $15 a barrel.
    Many USA shale fracking operations have costs approaching $60 to 70 / barrel funded with borrowed money.
    Some USA shale fracking operations have costs as low as $40 / barrel. The likely Saudi price target is likely in the mid 40’s for this reason as it will severely curtail most if not all USA shale fracking as well as high cost oil production elsewhere in the world. These highly leveraged players all around the globe will likely fold in the coming years as investment capital flees and banks do not ante up with loans to fund continuing operations.
    This is the sole reason why the Saudis will deliberately leave prices low for a few years to caution future investors in funding new USA shale fracking operations. This is how the capital markets function, they operate on risk, reward and the expected future returns.
    The Saudis have let everyone know that they will not tolerate high cost producers in the oil market ever again. So if oil prices ever trend back up to $100 barrel expect the shale oil producers to be sleeping with one eye open. Until USA shale production costs come down to a level lower than the Saudis are willing to produce at, the Saudis will remain in control.
    On the geopolitical side we have the oil price numbers for each nation for national budget break even levels
    $80 / barrel for the Saudis
    $105 / barrel for the Russians
    $125 / barrel for Venezuela
    and Iran is in a world of hurt begging at the bargaining table for sanction relief. The Saudis have the luxury of surplus to tap in the coming years be able to withstand a prolonged deficit. The Saudis could care less if the knife twists a little deeper in Iran.
    The process is accelerating which is great for the USA and the Saudis because the Russians and the Iranians will surrender sooner as opposed to later because they know at this point the Saudis have won. Delay for Iran in negotiating with the West will just increase the financial pain without any benefits.
    The Saudis have enough fiscal sovereign reserves to play this game for a few years even if oil drops to $20. The Saudis have repeatedly publicly stated this just to assure investors and markets know they are not bluffing. Clarity and certainty of purpose is honored in the marketplace.
    More details are found in the enclosed article below.

    Sheikhs v shale
    This near-40% plunge is thanks partly to the sluggish world economy, which is consuming less oil than markets had anticipated, and partly to OPEC itself, which has produced more than markets expected. But the main culprits are the oilmen of North Dakota and Texas. Over the past four years, as the price hovered around $110 a barrel, they have set about extracting oil from shale formations previously considered unviable. Their manic drilling—they have completed perhaps 20,000 new wells since 2010, more than ten times Saudi Arabia’s tally—has boosted America’s oil production by a third, to nearly 9m barrels a day (b/d). That is just 1m b/d short of Saudi Arabia’s output. The contest between the shalemen and the sheikhs has tipped the world from a shortage of oil to a surplus.
    Fuel injection
    Cheaper oil should act like a shot of adrenalin to global growth. A $40 price cut shifts some $1.3 trillion from producers to consumers. The typical American motorist, who spent $3,000 in 2013 at the pumps, might be $800 a year better off—equivalent to a 2% pay rise. Big importing countries such as the euro area, India, Japan and Turkey are enjoying especially big windfalls. Since this money is likely to be spent rather than stashed in a sovereign-wealth fund, global GDP should rise. The falling oil price will reduce already-low inflation still further, and so may encourage central bankers towards looser monetary policy. The Federal Reserve will put off raising interest rates for longer; the European Central Bank will act more boldly to ward off deflation by buying sovereign bonds.
    There will, of course, be losers (see article). Oil-producing countries whose budgets depend on high prices are in particular trouble. The rouble tumbled this week as Russia’s prospects darkened further. Nigeria has been forced to raise interest rates and devalue the naira. Venezuela looks ever closer to defaulting on its debt. The spectre of defaults and the speed and scale of the price plunge have unnerved financial markets. But the overall economic effect of cheaper oil is clearly positive.
    Just how positive will depend on how long the price stays low. That is the subject of a continuing tussle between OPEC and the shale-drillers. Several members of the cartel want it to cut its output, in the hope of pushing the price back up again. But Saudi Arabia, in particular, seems mindful of the experience of the 1970s, when a big leap in the price prompted huge investments in new fields, leading to a decade-long glut. Instead, the Saudis seem to be pushing a different tactic: let the price fall and put high-cost producers out of business. That should soon crimp supply, causing prices to rise.
    There are signs that such a shake-out is already under way. The share prices of firms that specialise in shale oil have been swooning. Many of them are up to their derricks in debt. Even before the oil price started falling, most were investing more in new wells than they were making from their existing ones. With their revenues now dropping fast, they will find themselves overstretched.
    A rash of bankruptcies is likely. That, in turn, would bespatter shale oil’s reputation among investors. Even survivors may find the markets closed for some time, forcing them to rein in their expenditure to match the cash they generate from selling oil. Since shale-oil wells are short-lived (output can fall by 60-70% in the first year), any slowdown in investment will quickly translate into falling production.
    This shake-out will be painful. But in the long run the shale industry’s future seems assured. Fracking, in which a mixture of water, sand and chemicals is injected into shale formations to release oil, is a relatively young technology, and it is still making big gains in efficiency. IHS, a research firm, reckons the cost of a typical project has fallen from $70 per barrel produced to $57 in the past year, as oilmen have learned how to drill wells faster and to extract more oil from each one.
    The firms that weather the current storm will have masses more shale to exploit. Drilling is just beginning (and may now be cut back) in the Niobrara formation in Colorado, for example, and the Mississippian Lime along the border between Oklahoma and Kansas. Nor need shale oil be a uniquely American phenomenon: there is similar geology all around the world, from China to the Czech Republic. Although no other country has quite the same combination of eager investors, experienced oilmen and pliable bureaucrats, the riches on offer must eventually induce shale-oil exploration elsewhere.
    Most important of all, investments in shale oil come in conveniently small increments.
    The big conventional oilfields that have not yet been tapped tend to be in inaccessible spots, deep below the ocean, high in the Arctic, or both. America’s Exxon Mobil and Russia’s Rosneft recently spent two months and $700m drilling a single well in the Kara Sea, north of Siberia. Although they found oil, developing it will take years and cost billions. By contrast, a shale-oil well can be drilled in as little as a week, at a cost of $1.5m. The shale firms know where the shale deposits are and it is pretty easy to hire new rigs; the only question is how many wells to drill. The whole business becomes a bit more like manufacturing drinks: whenever the world is thirsty, you crank up the bottling plant.
    Sheikh out
    So the economics of oil have changed. The market will still be subject to political shocks: war in the Middle East or the overdue implosion of Vladimir Putin’s kleptocracy would send the price soaring. But, absent such an event, the oil price should be less vulnerable to shocks or manipulation. Even if the 3m extra b/d that the United States now pumps out is a tiny fraction of the 90m the world consumes, America’s shale is a genuine rival to Saudi Arabia as the world’s marginal producer. That should reduce the volatility not just of the oil price but also of the world economy. Oil and finance have proved themselves the only two industries able to tip the world into recession. At least one of them should in future be a bit more stable.

    • La flessibilità produttiva del tight oil (petrolio leggero da rocce compatte) ottenuto con la fratturazione idraulica (fracking) su scisti (shale), non è in discussione.
      Quello che è in discussione sono due fenomeni che ne annulleranno a medio termine gli effetti:
      1) . La maggior parte del petrolio consumato nel mondo è ancora quello chiamato “convenzionale” ed è su questo che si abbattono le conseguenze peggiori.
      Il Tight Oil non arriva neppure a 5MB/d e si pratica solo negli USA e nel vicino Canada (in altri paesi è ancora “sperimentale”). Può avere tutta le flessibilità che vuole, ma è in grado di supplire a tassi di esaurimento del 5%/anno sui circa 70MB/d di convenzionale? Sono 3,5 MB/d che si perdono ogni anno in assenza di investimenti. Supponiamo che se ne perda solo un terzo, sono 1,2MB/d. Con il petrolio a 100$ negli ultimi anni il TO cresceva solo di 900kB/a.

      2)Il tempo di ritardo tra investimento e produzione per il TO è molto più breve, ma sinora non abbiamo ancora testato la resistenza del settore a prezzi veramente bassi e ad elevatissimi tassi di costo del denaro. I nodi stanno arrivando al pettine ora. Se è vero che il settore del fracking non sparirà è anche vero che quello che ne resterà non sarà più propenso ad ampliare la produzione ricorrendo al debito nella misura che abbiamo visto negli anni passati. Quindi quei 900kB/d di aumento all’anno non li vedremo più per molti anni, almeno sino a quando il fracking non si sarà diffuso al di fuori del nord america.

      Su tutto pesa poi l’aumento anno per anno della domanda petrolifera: 1,5MB/d in più. Forse così è più chiaro, magari ci faccio un post a parte con numeri più precisi.

  8. Le dinamiche sono complesse e non mi sogno di capirle tutte.
    Tuttavia non credo che i produttori di petrolio siano molto entusiasti di (s)vendere oro nero a 20$
    Magari è vero che c’é flessibilità produttiva (um….) ma la necessità di mantenere stipendi, aziende, tasse, …. impone che si estragga.

  9. se vi state chiedendo se conviene o no investire nel petrolio, potrebbe esser utile legger questo

    http://www.risparmioeinvestimento.it/investire-in-petrolio-nel-2016/

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